Lo ha stabilito la Cassazione con un nuovo principio di diritto.
La controversia trae origine dalla richiesta di nullità e comunque di annullamento della delibera notarile di aumento di capitale di una s.r.l. iscritta nel registro delle imprese, con contestuale accertamento sia dell'effettiva misura della partecipazione sociale di ciascuno derivante dall'esecuzione di quella stessa delibera.
In...
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione notificato in data 23 giugno 2011 L.D.I., V.L. e L.S. chiedevano dichiararsi la nullità e comunque l’annullamento della delibera notarile di aumento di capitale della società G. s.r.l., assunta con atto a rogito del Notaio dott. V.D.C. di Formia il 7 ottobre 2010 ed iscritta nel Registro delle Imprese di Caserta in data 4 novembre 2010, con contestuale accertamento sia dell’effettiva misura della partecipazione sociale di ciascuno derivante dall’esecuzione di quella stessa delibera, nonché l’invalidità delle delibere conseguenti e dipendenti adottate dal Consiglio di amministrazione in data 19 maggio e 16 giugno 2011, e per sentir infine accertare anche la validità ed efficacia di una precedente dedotta delibera assembleare datata 28 maggio 2011, oltre alla condanna al pagamento di spese e competenze professionali (la causa veniva iscritta al n. 3860/2011 R.G).
2. Con atto di citazione notificato alla società G. s.r.l. in data 14 novembre 2011, i predetti D.I., L. e S. chiedevano dichiararsi altresì la nullità e, comunque, di annullare le delibere di approvazione del bilancio 2010 e di nomina delle cariche sociali (giunte a scadenza), adottate dall’assemblea ordinaria di G. s.r.l. in data 30 giugno 2011, per invalidità derivata dalla cennata delibera notarile di aumento di capitale del 7 ottobre 2010 (la causa veniva iscritta al n. 6181/2011 R.G.).
3. Con atto notificato nell’agosto del 2011, anche G.V., esponendo di essere socio - titolare di quota pari allo 0,78% del capitale - di G. s.r.l., chiedeva i) in via principale, dichiararsi la nullità e, comunque, di annullare la delibera notarile di aumento di capitale della prefata società, assunta il 7 ottobre 2010 ed iscritta nel Registro delle Imprese di Caserta in data 4 novembre 2010; ii) in via subordinata, accertarsi la regolarità della dedotta sottoscrizione da parte sua di tale aumento di capitale (la causa veniva iscritta al Ruolo Generale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con n. 4577/2011). In tale processo, mediante comparsa del 12 giugno 2012, spiegavano intervento volontario – aderendo alle domande proposte dal V. – L.D.I., L. S. e V.L., a loro volta, già attori nei distinti giudizi n. 3860/2011 e 6181/2011 R.G. del medesimo Tribunale.
4. Successivamente in data 28 settembre/3 ottobre 2012, con ordinanza resa fuori udienza, il Giudice istruttore disponeva la riunione al n. 3860/2011 R.G. dei giudizi recanti R.G. n. 4577/2011 e R.G. n. 6181/2011.
5. Con sentenza n. 468, pronunciata in data 11 febbraio 2014, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere definiva i predetti giudizi riuniti (r.g.n. 3860/11, 4577/11 e 6181/11), promossi da V.L., L.S., G.M. e G.V. nei confronti della G. s.r.l., innanzi richiamati, dichiarando la parziale inammissibilità delle domande e rigettando nel resto le domande, con compensazione integrale delle di giudizio tra tutte le parti.
6. – Avverso la predetta sentenza proponevano gravame innanzi alla Corte di Appello di Napoli, con atto di appello notificato in data 22.6.2014, V.L., L.S. e L.D.I. nei confronti della società G. s.r.l., chiedendo la riforma della sentenza impugnata.
7. - Con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva nel giudizio di appello la G. s.r.l. che, impugnando l’avverso gravame, chiedeva, in via pregiudiziale, dichiararsi inammissibile l’atto di appello e comunque la conferma della sentenza di prime cure e, in riforma della sentenza di prime cure ed accogliendo l’appello incidentale, condannare gli appellanti in solido tra loro al pagamento delle spese del primo grado di giudizio, comprese le due fasi cautelari, e di tutti i giudizi riuniti.
8. Con atto depositato in data 26.6.2018, spiegava atto di intervento G.M. deducendo di essere socio della G. s.r.l.
9. Con sentenza n. 1809 del 1.4.2019, qui impugnata con ricorso per cassazione, la Corte di Appello di Napoli, definendo il giudizio, ha rigettato l’appello principale ed ha accolto l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese processuali sostenute dalla società nel primo grado di giudizio, compresa la fase cautelare, che liquidava in complessivi € 20.900, oltre accessori di legge.
10. La corte del merito ha ritenuto - per quanto qui ancora di interesse - che:
a) il primo motivo di gravame - con il quale si censurava la sentenza di primo grado per aver ammesso solo teoricamente la legittimazione del D.I. all’impugnazione della delibera per nullità, errando, poi, nel non ricondurre la fattispecie all’ipotesi normativa regolata dall’art. 2476 ter, terzo comma, cod. civ. – era inammissibile perché l’appellante non aveva interesse alla proposizione dell’impugnativa, essendo decaduto dalla possibilità di tale proposizione, ai sensi dell’art. 2379ter cod. civ.; b) era invece infondato il secondo motivo di appello, con il quale si criticava la decisione impugnata, in relazione al giudizio n. 3860/11 R.G., per aver affermato la decadenza degli attori dall’impugnativa della delibera di aumento di capitale in conseguenza della ritenuta applicazione dell’art. 2379ter cod. civ., al quale rinviava l’art. 2479ter, quarto comma, cod. civ., in quanto: i) come già affermato dal giudice di prime cure, dal contenuto normativo di cui all’art. 2479ter cod. civ.
– che sul piano testuale inequivocabilmente prevede, come data di decorrenza del termine per l’impugnativa della delibera, un termine unico individuandolo nella trascrizione della delibera nel libro delle decisioni, come regola generale valida per tutte le delibere, anche quelle soggette ad iscrizione o deposito – doveva rimarcarsi l’ambiguità del richiamo contenuto nel predetto indice normativo, proprio in relazione all’ultimo comma dell’art. 2479 ter cod. civ., alla norma dettata per le società per azioni, la quale prevede invece il termine di centottanta giorni dalla data di iscrizione nel Registro delle imprese; ii) sul piano ermeneutico si è spiegato in dottrina che il riferimento contenuto nella norma in esame alla decorrenza del termine dalla trascrizione nel libro delle decisione era giustificato dalle ragioni storiche dell’assetto attuale post riforma che risiede, per ciò che attiene alle s.r.l., nel fatto che il legislatore della riforma aveva previsto, in tale categoria di società, le decisioni che i soci possono prendere fuori e senza assemblea, con la conseguenza che il problema della datazione di tali decisioni extra- assembleari si pone in termini diversi da come si pone per le deliberazioni assembleari, essendo, cioè, oggettivamente difficile stabilire quando una questione extra-assembleare sia stata presa e potendo rilevarsi difficile per chiunque l’identificazione di tale data; iii) senza dubbio il legislatore della riforma aveva inteso attribuire alla data della trascrizione a libro il ruolo di data di decorrenza del termine per l’impugnativa delle decisioni extra assembleari, leggendosi ciò anche nella relazione ministeriale al d.lgs. n. 6/03, e cioè che si era ritenuto necessario fissare la data di decorrenza del termine con una regola identica per tutte le decisioni e tutte le delibere, senza esplicitare altro; iv) tuttavia il particolare rilievo della partecipazione personale dei soci e la presenza attiva dei soci nella vita delle s.r.l. non sembrava una giustificazione idonea a ritenere preferibile una sorta di “pubblicità interna” delle decisioni dei soci, posto che, pur essendo la s.r.l. una struttura aperta alla partecipazione dei soci alla vita della società che hanno pieno accesso alla documentazione interna, è anche vero che tutto ciò è destinato a cambiare allorquando il socio impugni, assumendo una posizione di “terzo” portatore di un interesse confliggente con quello sociale, in costanza del quale il meccanismo di pubblicità previsto potrebbe rivelarsi del tutto inutile; v) svalutare inoltre il fenomeno dell’iscrizione nel registro delle imprese, ai fini qui in discussione (iscrizione che costituisce lo strumento primario di informazione sulla vita di una società, anche per i soci), risultava andare contro quella tendenza, anche per le s.r.l., di spostare l’informazione del socio di società a r.l. dal piano di una preesistente e incerta pubblicità al piano della pubblicità tout court, ossia al piano del Registro delle imprese, ravvisabile nella recente soppressione, ad opera della legge n. 2 del 2009, dell’obbligatorietà del libro soci nelle s.r.l.; vi) nel delineato quadro, il rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 2479 ter cod. civ. all’art. 2379 ter, medesimo codice, doveva essere riferito solo al termine ridotto per la decorrenza dell’impugnativa, non essendo la s.r.l. assimilabile ad una società che fa ricorso al capitale di rischio, di cui al secondo comma della predetta norma, né tantomeno riferirsi alla delibera di emissione di titoli di debito; vii) l’art. 2479 ter cod. civ. doveva essere dunque letto ed interpretato come norma di rottura del sistema, come tale avente una portata circoscritta alle sole delibere extra-assembleari; viii) nel caso di specie, dunque risultava, come dato incontestabile, la mancanza di una precisa data della trascrizione della delibera del 7.10.2010, con la conseguenza che affermare l’impugnabilità sine die costituiva un risultato interpretativo inammissibile, in quanto in contrasto con la ratio del rinvio, nei limiti della compatibilità operato dall’art. 2479 ter, u.c., cod. civ.; c) il terzo motivo di appello – con il quale l’appellante aveva censurato la decisione resa anche nel merito dal primo giudice, che aveva proceduto alla qualificazione della censura riguardante la delibera del 7.10.2010, per violazione dell’art. 2481 bis, 2 comma, cod. civ. (per la mancanza di un termine ultimo fisso e certo per l’operazione di aumento di capitale e per l’assenza di indicazione delle modalità di sottoscrizione del capitale) in termini di annullabilità, dichiarando decaduti gli attori dalla relativa impugnativa – era, invece, da ritenersi assorbito dal rigetto del motivo precedente, con il quale si era infatti confermata la statuizione di decadenza dall’impugnativa, in applicazione dell’art. 2379 ter cod. civ.; d) anche il quarto motivo di appello (con la quale si era censurata la sentenza impugnata in punto di affermata validità della delibera del CDA del 30.4.2011, contestando l’assunto secondo cui essa conteneva l’accertamento dell’intervenuta sottoscrizione dell’aumento di capitale, ed in punto di affermata validità delle delibere del CDA del 19 maggio 2011 e 16 giugno 2011, in quanto svolte in assenza dell’organo di controllo) ed il quinto motivo di gravame (in relazione all’esame dei vizi delle delibere del CDA di esecuzione dell’aumento di capitale), trattati congiuntamente, erano da ritenersi infondati, in quanto, a fronte della motivazione resa sui punti in discussione in modo puntuale e condivisibile, le censure mosse dagli appellanti - risolvendosi in una mera reiterazione delle doglianze svolte in primo grado, frammista a valutazioni e censure della delibera del CDA derivate dalla delibera di aumento di capitale del 7.10.2010 (la cui validità non era più discutibile, in ragione dell’intervenuta decadenza dal potere di impugnarla) - non riuscivano a scalfire la ratio decidendi del primo giudice;
ha inoltre osservato, quanto ai vizi di invalidità denunciati in relazione alle delibere del 19 maggio 2011 e 16 giugno 2011 (per le quali effettivamente il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi in ordine alla denunciata assenza dell’organo di controllo), che non sussistevano tali vizi perché, non essendo stato superato il limite di legge, non era necessario l’insediamento del collegio sindacale.
2. La sentenza, pubblicata il 1.4.2019, è stata impugnata da D.I. L. con ricorso per cassazione, affidato ad undici motivi, cui G. s.r.l. ha resistito con controricorso.
La società controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2479 ter, 3 comma, cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello avrebbe erroneamente identificato il tipo di nullità che affligge la delibera di aumento di capitale dedotto ai sensi dell’art. 2361 cod. civ. Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe illegittima per non aver qualificato la nullità della delibera del 7 ottobre 2010 per violazione dell’art. 2361 cod. civ., fatta valere dagli appellanti, quale nullità perché la delibera aveva oggetto illecito e impossibile, ai sensi del comma 3 dell’art. 2479 ter cod. civ. Si precisa che, nell’assemblea del 7 ottobre 2010, era stato modificato di fatto e senza assunzione di alcuna delibera al riguardo, l’oggetto sociale, introducendo un’attività impossibile ovvero illecita, perché non rientrante nell’oggetto sociale statutario, ovvero l’attività di holding di partecipazioni. Sarebbe stata dunque essenziale – aggiunge il ricorrente – una preliminare modifica dell’oggetto sociale per evitare, come, poi, avvenuto con l’assunzione della delibera – la violazione dell’oggetto sociale e l’inosservanza del divieto di cui all’art. 2361, 1 comma, cod. civ. (pacificamente applicabile anche alla s.r.l.), tale violazione avendo pertanto prodotto un vizio nella delibera impugnata riconducibile all’art. 2479 ter, terzo comma, secondo periodo, cod. civ. Si specifica da parte del ricorrente con la delibera in questione non si era proceduto ad autorizzare gli amministratori a svolgere un’attività illecita o impossibile, ma si era cambiato di fatto l’oggetto sociale, introducendo a regime lo svolgimento di un’attività economica contraria alle previsioni statutarie.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 100 cod. proc. civ. Si osserva che la violazione dell’art. 2361 cod. civ. e la tipologia di vizio erano state denunciate nell’atto di appello e ciò nonostante la Corte di merito non ne avrebbe tratto le necessarie conseguenze, ovvero l’impugnabilità della delibera senza limiti temporali, e con ciò inducendo la Corte a dichiarare erroneamente la sua carenza di interesse ad agire.
2.1 I primi due motivi di ricorso – che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione delle questioni dedotte – sono in realtà inammissibili, per due ordini di ragioni concorrenti.
2.1.1 Da un lato, le censure non si confrontano affatto con la ratio decidendi del provvedimento impugnato che, in realtà, ha fondato la ragione della decadenza della proposta impugnativa sulla circostanza - non controversa, già in grado di appello - che la delibera impugnata riguardasse la determinazione assembleare di aumentare il capitale sociale della s.r.l., come tale suscettibile di ricadere incontestabilmente sotto il fuoco normativo del combinato disposto degli artt. 2479 ter, quarto comma, e 2379 ter, primo comma, cod. civ., con la necessaria conseguenza che, al momento della presentazione della impugnazione giudiziale della predetta delibera, era inesorabilmente decorso il termine per impugnare di centottanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera stessa.
2.1.2 Dall’altro, occorre comunque evidenziare che le doglianze così proposte peccano di evidente genericità di formulazione e non sono affatto autosufficienti, posto che le stesse non descrivono in alcun modo l’oggetto sociale che si assume trasformato, gli esiti degli accertamenti di merito dei giudici precedenti che avevano escluso espressamente la trasformazione e le ragioni per le quali la gestione caratteristica della società sarebbe mutata. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità dei primi due motivi.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione del combinato disposto dell’art. 2497 ter ultimo comma cod. civ. e 2397 ter cod. civ., con riferimento ai termini di impugnativa della delibera di aumento del capitale sociale del 7 ottobre 2010.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Il ricorrente lamenta, infatti, la disposta applicazione alla propria impugnativa dell’art. 2379 ter cod. civ. che prevede, da un lato, un termine decadenziale di 180 giorni per far valere qualsiasi tipo di invalidità delle delibere di aumento del capitale sociale e, dall’altro, che esso termine decorra dall’iscrizione della delibera nel Registro delle imprese, piuttosto che dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
3.3 Il ricorrente riconosce invero che l’art. 2479 ter, comma terzo, cod. civ., dettato in materia d’invalidità delle delibere delle s.r.l., rinvia all’art. 2379 ter cod. civ., intendendo stabilire, per taluni aspetti, una disciplina omogenea con quella delle s.p.a., ma sostiene tuttavia che i giudici del merito avrebbero utilizzato tale rinvio in modo omologante, senza comprendere il divario esistente tra i due tipi societari che avrebbe imposto all’interprete, per un verso, di individuare il dies a quo per impugnare le delibere di aumento del capitale sociale dalla trascrizione delle stesse nei libri sociali e, per altro verso, di considerare perpetua la possibilità di impugnare la delibera, in caso di contestazione della data di trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
3.4 Il ricorrente sostiene tale tesi in virtù di un affermato assioma di prevalenza, nelle s.r.l., delle risultanze dei libri sociali rispetto ad altre forme di pubblicità previste nel diritto commerciale, posto che, in thesi, le prime dovrebbero prevalere sulle seconde perché considerate dal ricorrente manifestazione di quello spirito personalistico che contrassegna, a livello sistematico, le s.r.l. e le distingue dalle s.p.a.; la seconda, invece (e cioè la pubblicità commerciale realizzata attraverso il Registro delle Imprese) dovrebbe essere disapplicata perché mortificherebbe, sempre secondo l’opinione del ricorrente, la partecipazione attiva dei soci alla vita sociale, imponendo loro la necessità di consultare i registri pubblici in luogo dei libri sociali.
3.4 In conclusione, secondo il ricorrente, premesso che l’art. 2479 ter, terzo comma, cod. civ., autorizza l’applicazione alle s.r.l. dell’art. 2379 ter cod. civ. solo con la “riserva di compatibilità”, la Corte di appello partenopea avrebbe ignorato una differenza irriducibile tra i due tipi societari e avrebbe applicato erroneamente la disciplina delle s.p.a., non facendo così decorrere i termini per l’impugnazione delle delibere dalla data di trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
4. Il quarto mezzo denuncia inoltre la violazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale in merito all’interpretazione fornita dall’art. 2479 ter cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sul rilievo che la Corte di appello, nell’accogliere la sopra riferita interpretazione del combinato disposto degli artt. 2479 ter, u.c., e 2379 ter, primo comma, cod. civ., avrebbe dimostrato di aver anteposto al criterio letterale di interpretazione della legge un criterio di ordine sistematico, che costituisce un canone esegetico meramente residuale.
4.1 Il terzo e quarto motivo – che propongono, sotto prospettive di doglianza diverse, la medesima questione – possono essere trattati congiuntamente e devono essere rigettati.
4.2 Ritiene il Collegio che l’opzione interpretativa sposata dalla Corte di merito sia ampiamente condivisibile.
Sul punto occorre, in primo luogo ricordare, che è la stessa lettera della norma sopra richiamata, e cioè, l’art. 2479 ter, quarto comma, cod. civ., a richiamare, espressamente, per l’impugnativa delle delibere di aumento di capitale, il disposto normativo dettato, per le società per azioni, dal primo comma dell’art. 2379 ter, che dispone altrettanto espressamente che l’impugnativa non può essere proposta “dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese”.
4.3 Dunque è la stessa interpretazione letterale delle norme in commento a suggerire la soluzione al quesito posto dal motivo di ricorso qui in esame, risultando evidente la voluntas legis di omologare la disciplina delle società a
r.l. a quella della società per azioni, in relazione ad una deliberazione particolarmente rilevante per la vita della compagine sociale, e cioè quella proprio di aumento di capitale sociale, per la quale il perimetro di rilevabilità dei conseguenti vizi è stato circoscritto dal legislatore, con l’ulteriore rinvio all’art. 2379 cod. civ., ai soli “casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza di verbale e di impossibilità o illiceità dell’oggetto”.
4.4 Né è possibile rintracciare la possibile ragione di inapplicabilità della predetta disciplina in conseguenza della “clausola di compatibilità”, normativamente introdotta proprio dal sopra ricordato art. 2479 ter, quarto comma, cod. civ. Ed invero, il taglio personalistico del tipo societario, l’incentivazione alla partecipazione alla vita sociale, la valorizzazione dei contributi personali all’impresa organizzata in forma societaria non possono avere alcuna incidenza, né diretta né indiretta, sul diverso profilo della decorrenza di un termine decadenziale che obbedisce, invece, alla diversa esigenza di rendere, da un lato, facilmente percepibile dai soci e dai terzi interessati il contenuto di deliberazioni che rivestono particolare importanza nella vita societaria, anche in relazione al regime e all’effettività della responsabilità patrimoniale della società e alla tutela dei diritti dei terzi (e ciò, tramite proprio l’iscrizione nel Registro delle imprese del deliberato assembleare) e, dall’altro, di rendere certa ed incontrovertibile la consistenza patrimoniale della società in termini relativamente brevi (e ciò, tramite l’espressa previsione di un termine ristretto per l’impugnazione giudiziale delle delibere in esame).
4.5 Occorre anzi evidenziare che l’esegesi delle norme dettate dall’art. 2479- ter, quarto comma, cod. civ., in combinato disposto dell’art. 2379-ter, primo comma, qui accolta, ha l’indubbio merito di fissare con precisione il dies a quo dell’impugnativa, agganciandolo ad una forma pubblicitaria non influenzata dall’attività degli amministratori della società e suscettibile di essere consultata senza dover chiedere ed ottenere l’ispezione dei libri sociali ex art. 2476, secondo comma, cod. civ. (circostanza quest’ultima che potrebbe innescare anche possibili conteziosi preliminari tra le parti, forieri peraltro di incertezze in ordine alla decorrenza del termine per impugnare) e fornendo peraltro una soluzione più garantista per i soci stessi.
4.6 In realtà, è proprio la natura della deliberazione di aumento del capitale sociale, come tale modificativa dello statuto e della consistenza patrimoniale della società, che induce a privilegiare la tesi della decorrenza del termine dalla iscrizione della relativa delibera assembleare nel Registro delle imprese, perché soluzione idonea ed adeguata a conciliare maggiormente gli interessi dei soci (per le ragioni sopra ricordate) con quelle dei terzi, entrambi diretti alla migliore conoscenza e alla certezza delle vicende sociali.
Detto altrimenti, per le delibere in esame, il principio personalistico – che, peraltro, nessun giovamento potrebbe trarre dalla decorrenza del termine per impugnare dalla trascrizione nei libri sociali – deve cedere e fare spazio ad un regime di pubblicità governata da certezza ed affidabilità, diverso da quello basato su una incerta pubblicità interna, come anche suggerito dall’intervenuta soppressione per mano del legislatore dell’obbligatorietà della tenuta del libro soci (la legge n. 2/2009 ha infatti previsto la soppressione dell'obbligo della tenuta del libro soci per le Srl: art.16, comma 12-septies, lett. a, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazione della predetta l. n. 2/2009).
Ne consegue il rigetto del terzo e quarto motivo.
5. Il quinto e sesto motivo – con i quali il ricorrente ripropone le questioni già avanzate in sede di gravame alla sentenza di primo grado e ritenute assorbite dalla Corte di appello, sul rilievo preliminare della maturata decadenza dal potere di impugnare per lo spirare del termine di cui al sopra ricordato art. 2379ter cod. civ. – rimangono pertanto assorbiti dal rigetto dei precedenti motivi di ricorso.
6. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 132, 3 comma, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. laddove la Corte territoriale aveva deciso sulle censure in merito al deliberato del Consiglio di Amministrazione nelle riunioni del 19 maggio e 16 giugno 2011, per come precedute dalla riunione del 30 aprile 2011. Il ricorrente lamenta, cioè, il vizio di motivazione della decisione impugnata che si sarebbe riportata, con riferimento alle impugnative delle delibere del C.d.A, alle ragioni già espresse dal Tribunale, denunciando, pertanto, vizio di motivazione apparente o consistente nella acritica riproduzione delle ragioni già esposte dai giudici di primo grado, senza alcuna effettiva valutazione dei motivi di gravame.
6.1 Il motivo, così articolato, è inammissibile.
6.2 Il ricorrente si è infatti limitato, nel motivo qui in esame, a riprodurre le doglianze già formulate in primo grado e disattese della Corte di merito.
La Corte di appello aveva infatti evidenziato, nel provvedimento qui impugnato, che le censure mosse dagli appellanti, risolvendosi in una mera reiterazione delle doglianze svolte in primo grado, non erano in grado di “scalfire la ratio decidendi del primo giudice”.
6.3 Ciò posto, rileva il Collegio che, considerata la chiara ratio decidendi espressa dalla Corte territoriale, il ricorrente avrebbe dovuto indicare quali motivi del gravame non erano stati sufficientemente considerati ovvero acriticamente rigettati da parte della Corte di appello, indicando altresì la decisività di tali argomentazioni rispetto alla decisione definitiva.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del motivo.
7. Il ricorrente propone, inoltre, con l’ottavo mezzo l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione alla intervenuta sua sottoscrizione del capitale sociale con il versamento di 4.000 euro. Ricorda il ricorrente che aveva sottoscritto tempestivamente le quote di nuova emissione ma che comunque sarebbe stato penalizzato nell’aumento del capitale della G. s.r.l. Aggiunge il ricorrente che, il Consiglio di Amministrazione, pur avendo versato 4.000 euro tempestivamente, non avrebbe tuttavia riconosciuto che tale importo corrispondeva al 25% delle quote oggetto di sottoscrizione, e nello stesso tempo il medesimo organo gestorio non gli avrebbe consentito di sottoscrivere l’’inoptato
7.1 Il motivo, così articolato, è inammissibile in ragione della novità delle questioni prospettate, in quanto, in mancanza di una specifica indicazione di quale fosse l’atto difensivo del giudizio di merito contenente le predette doglianze, è dato solo riscontrare dalla lettura della sentenza impugnata (cfr. pagg. 18 e 21 sentenza impugnata) che la questione del versamento dei
4.000 euro era stata dedotta dagli appellanti solo in riferimento alla impugnativa della delibera assembleare e non già in relazione alle decisioni adottate dal Consiglio di amministrazione.
8. Il nono motivo deduce vizio di “violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4, c.p.c.) – omessa pronuncia in ordine alla domanda di voler accertare e dichiarare la consistenza e titolarità di tutte le quote di partecipazione al capitale di G. s.r.l. nella misura in cui lo stesso si riterrà sottoscritto”.
8.1 Anche il nono motivo di ricorso non può essere accolto.
Lamenta il ricorrente che i giudici del merito avrebbero ignorato una sua domanda autonoma e specificatamente rivolta all’accertamento delle partecipazioni al capitale sociale della G. s.r.l. all’esito dell’aumento del capitale sociale.
8.2 Risulta tuttavia evidente che il ricorrente avesse chiesto l’accertamento delle quote, quale domanda strumentale/dipendente rispetto a quella con la quale aveva chiesto la caducazione della delibera di aumento del capitale e la delibera di approvazione del bilancio al 31.12.2010, con la conseguenza che il rigetto della detta domanda di invalidità delle predette delibere ha determinato anche un implicito rigetto della conseguenziale domanda diretta ad accertare la consistenza della quota (così, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2153 del 30/01/2020; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017).
9. Il ricorrente propone inoltre un decimo motivo con il quale declina vizio di “violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4, c.p.c.) – omessa pronuncia in ordine alla dedotta violazione dell’art. 2424 e 2427 c.c. e alla violazione di correttezza e buona fede dell’operato degli amministratori in relazione alla delibera del 30.06.2011 che ha approvato il bilancio del 2010”.
9.1 Il motivo è infondato in quanto la decisione sulla questione dedotta dal ricorrente è stata invero adottata dalla Corte di merito (cfr. pagg. 25-26 della sentenza impugnata) ed anche le doglianze proposte sul punto dagli appellanti sono state affrontate argomentativamente attraverso il richiamo espresso alla decisione di prime cure.
Non è pertanto prospettabile il denunciato vizio di omessa pronuncia.
10. L’undicesimo ed ultimo motivo denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4, c.p.c.) – omessa pronuncia in ordine alla dedotta violazione dell’assunzione della delibera di nomina del nuovo consiglio in conflitto di interessi”.
10.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Pur essendo stato dedotto un vizio processuale che abilita questa Corte di legittimità ad una verifica diretta degli atti processuali, le censure proposte, sul punto qui in discussione dal ricorrente, risultano solo genericamente formulate, non indicando, in alcun modo, quale fosse il petitum giudiziale diretto all’annullamento del deliberato, ma solo riportando alcun stralci argomentativi dell’atto di citazione e dell’atto di appello, e così non consentendo a questa Corte lo scrutinio di fondatezza della doglianza che, pur riguardando un error in procedendo, deve sempre obbedire ai requisiti di specificità ed autosufficienza. Sul punto va infatti ricordato che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di ricorso per cassazione, l'esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un "error in procedendo", presuppone l'ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'"iter" processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019).
In relazione al terzo e quarto motivo di ricorso, si enuncia il seguente principio di diritto:
“Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2479ter, quarto comma, e 2379ter, primo comma, cod. civ., il termine per l’impugnativa dell’aumento di capitale sociale decorre, per le s.r.l., dall’iscrizione della relativa deliberazione nel registro delle imprese e non già dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci”.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.