
Svolgimento del processo
1. – Con decreto del 6 maggio 2016 il MISE ha disposto l’Amministrazione straordinaria ex "Legge Marzano" per le società del “Gruppo T.”: S. Europe s.r.l., S. S. s.a.s., Gruppo I. T. s.p.a., Officine T. L. s.r.l. in liquidazione, C. &. C s.r.l. in liquidazione, F. Systems s.r.l., S. Components s.r.l., F. Energy s.r.l. e A. s.r.l. in liquidazione.
1.1. – Il 15 ottobre 2016 F. s.r.l., società appartenente allo stesso gruppo ma rimasta "in bonis", ha chiesto ammettersi al passivo della procedura di Amministrazione straordinaria di Officine T. L. s.r.l. in liquidazione (di seguito OTL) il credito di € 1.662.748,58 con il privilegio ex art. 2764 c.c. e, dopo l’apertura della procedura, con prededuzione, a titolo di canoni di locazione di un compendio immobiliare (già costituente l’opificio nel quale OTL esercitava l’attività d’impresa) oggetto della seguente operazione trilaterale, contestualmente posta in essere il 18 luglio 2003: vendita da OTL a L. s.p.a. al prezzo di € 9.000.000,00; concessione in leasing da L. a F. per un corrispettivo complessivo di € 8.900.000,00 con canone iniziale di € 1.800.000,00, n. 143 rate mensili di € 50.000,00 e riscatto finale di € 1.800.000,00; locazione da F. a OTL a un canone mensile di € 63.000,00 (poi ridotto nel 2015 a € 58.333,00) e deposito cauzionale di € 1.900.000,00.
1.2. – Il Giudice delegato ha escluso il credito, ritenendo «il contratto di locazione privo di effetti perché contratto simulato tra le parti, in palese conflitto di interessi, che dissimula diversa causa (finanziamento) da quella apparente».
1.3. – Il Tribunale di Verona ha rigettato l’opposizione ex art. 98 l.fall. proposta da F., ritenendo infondata l’eccezione di simulazione dell’operazione negoziale (in quanto effettivamente posta in essere nell’ambito di un processo di riorganizzazione delle varie società` del Gruppo, tutte riferibili alla famiglia T., volto a distinguere le attività industriali da quelle immobiliari e concentrare indirettamente queste ultime in capo a F.) ma invece fondata l’eccezione di annullamento del contratto di locazione «per avvenuta stipula da parte dell’amministratore in conflitto di interessi con la società ai sensi dell’art. 2475 ter c.c.», risultato vantaggioso solo per F. e non anche per OTL, senza che il pregiudizio economico immediato per quest’ultima potesse essere bilanciato dai “vantaggi compensativi” derivanti dalla ristrutturazione del gruppo T. di cui si è detto.
1.4. – Avverso detta decisione F. ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, cui OTL in Amministrazione straordinaria ha resistito con controricorso.
1.5. – Con ordinanza interlocutoria è stata disposta la trattazione del ricorso all’udienza del 16 gennaio 2025, unitamente agli analoghi ricorsi proposti da F. contro altre quattro società del gruppo poste in Amministrazione straordinaria.
1.6. – Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
2. – Con il primo motivo si denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2475 ter e 1394 c.c., per avere il tribunale, in modo irragionevole e contraddittorio, da un lato respinto la tesi della natura simulata dell’operazione (perciò ritenuta evidentemente legittima, efficace e opponibile alla procedura di A.S.), dall’altro accolto la tesi della «sussistenza di un rilevante conflitto di interessi», peraltro discostandosi immotivatamente dalla perizia di parte prodotta dall’opponente – senza nemmeno disporre apposita c.t.u. sul pregiudizio arrecato a OTL – e assumendo «un’ottica meramente ex post», a fronte di operazioni «risalenti all’anno 2003», e dunque poste in essere «ben dodici anni prima l’insorgenza dello stato di crisi del Gruppo T.», quando «non poteva oggettivamente individuarsi alcun intento pregiudizievole per OTL in favore di F.».
In particolare, il tribunale avrebbe rilevato il conflitto di interessi senza tener conto che:
– OTL era «totalitariamente controllata dalla Gruppo I. T. s.p.a. (…) faceva riferimento, con perfetta coincidenza, al medesimo assetto proprietario» della holding e di F., le quali «facevano totalitariamente capo ai signori B., N., L., M. e MG. T., ciascuno titolare di una quota del 20% di entrambe dette società», sicché non sarebbe «configurabile neppure in ipotesi un conflitto di interessi» (Cass. 24547/2016);
– allorquando OTL e F. avevano deliberato l’autorizzazione a concludere il contratto, N. T. e B. T. si erano astenuti, sicché il voto del primo «non era stato rilevante al fine di determinare la maggioranza», risultando invece «il voto determinante del consigliere S. F.»;
– in ogni caso nessuno degli amministratori di OTL avrebbe «mai contestato l’operazione»;
– trattandosi di conflitto di interessi emerso in sede deliberativa, l’annullamento del contratto per conflitto di interessi sarebbe possibile solo previa impugnazione e annullamento della delibera del consiglio di amministrazione di OTL, ai sensi dell’art. 2391, commi 3 e 4, c.c. (Cass. 3501/2013, 27783/2008, 1525/2006,
18792/2005, 1525/2005), o comunque, in difetto di impugnazione, il conflitto di interessi potrebbe «essere causa di annullamento del contratto solo se detta delibera costituisce oggetto di azione di responsabilità e detta azione di responsabilità risulti condurre all’accertamento del vizio della delibera»; azione in effetti promossa dai Commissari Straordinari contro l’organo amministrativo e di controllo di OTL, senza però che il tribunale abbia disposto la sospensione del giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio ex art. 2476 c.c. pendente dinanzi alla Sezione specializzata del Tribunale di Venezia;
– il tribunale non avrebbe nemmeno considerato che parte del contratto del 2003 era la Officine T. L. s.p.a., «soggetto giuridico del tutto diverso rispetto alla Officine T. L. s.r.l. (…) con ciò che ne consegue sia in punto di danni effettivamente patiti dall’attuale Officine T. L. s.r.l. in Amministrazione Straordinaria, sia in punto di legittimazione attiva della Procedura».
2.1. – Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. per «errore di percezione di risultanze istruttorie determinanti ai fini del decidere», in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., poiché il tribunale avrebbe accertato «un danno certo ed immediato nei confronti di OTL», ai fini del rilevato conflitto di interessi, senza in alcun modo “contestare” la perizia di parte prodotta da F., nella quale si escludeva che dall’operazione in questione fosse derivato «qualsivoglia pregiudizio» a OTL, poiché il canone di locazione «risulta in linea con quelli che erano all’epoca i valori di mercato per immobili analoghi», mentre F., assunto il ruolo di società immobiliare del gruppo, preservata dalle procedure concorsuali, «in sede di elaborazione del progetto di ristrutturazione» della domanda prenotativa di concordato in continuità ex art. 161 co. 6 l.fall., «avrebbe dovuto assumere un ruolo essenziale ai fini del buon esito delle procedure di concordato fungendo da “perno” sul quale innestare la manovra finanziaria a servizio dei piani concordatari».
3. – Viene preliminarmente al vaglio l’eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente con riguardo al primo motivo, in ragione della mancata impugnazione della delibera del Consiglio di amministrazione di OTL o, comunque, della mancata sospensione del giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio di responsabilità ex art. 2476 c.c. promosso dai Commissari straordinari.
3.1. – Come noto, l’art. 2475-ter c.c. (post riforma societaria del 2003) consta di due commi: il primo dispone che «I contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possono essere annullati su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo»; il secondo prevede che «Le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora le cagionino un danno patrimoniale, possono essere impugnate entro novanta giorni dagli amministratori e, ove esistenti, dai soggetti previsti dall'articolo 2477. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione».
3.2. – Secondo una parte degli interpreti, il primo comma troverebbe applicazione quando la s.r.l. sia amministrata da un amministratore unico, o in presenza di un’amministrazione disgiuntiva o congiuntiva ai sensi dell’art. 2475 c.c., purché non si sia in presenza di un consiglio di amministrazione, né di un procedimento collegiale che richieda l’espressione di un voto in senso tecnico, nel qual caso sarebbe applicabile il secondo comma, che contempla l’impugnabilità, entro tre mesi, delle decisioni adottate dall’organo di amministrazione della s.r.l assunte in conflitto di interessi (e cioè quando al vantaggio, anche potenziale, dell’amministratore fa riscontro lo svantaggio, o anche un minor vantaggio, della società) se adottate col voto determinante dell’amministratore interessato.
Si sostiene altresì che anche il contratto concluso dal legale rappresentante in esecuzione di una decisione degli amministratori viziata da conflitto di interessi sarebbe annullabile ai sensi del primo comma dell’art. 2475-ter c.c., a condizione però che vi siano stati margini di discrezionalità nella definizione del contenuto negoziale, diversamente venendo in rilievo l’art. 1395 c.c. (per cui il contratto concluso con sé stesso dal rappresentante in conflitto di interessi non è annullabile se il suo contenuto è stato predeterminato dal rappresentato), con la conseguenza che la società, per sciogliersi dalle obbligazioni derivanti dall’attuazione di una decisione assunta col voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi, avrebbe l’onere di impugnare la decisione (fatti salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede).
3.3. – Anche in giurisprudenza si è ribadito, dopo la riforma societaria del 2003, che mentre l’art. 2391 c.c. (per le s.p.a.) è destinato a disciplinare il conflitto di interessi manifestatosi al momento dell'esercizio del potere deliberativo, l’art. 1394 c.c. è diretto a regolare il conflitto di interessi palesatosi al momento dell'esercizio del potere rappresentativo, anche quando, «pur essendovi il consiglio di amministrazione, l'operazione da compiere sia devoluta alla specifica competenza di uno soltanto dei suoi componenti (l'amministratore delegato) che abbia il potere di agire con gli stessi poteri che competono all'amministratore unico e, quindi, senza necessità di un intervento del consiglio», ovvero «il singolo amministratore ponga in essere, in mancanza di una delibera del consiglio di amministrazione, un atto che rientri, invece, nella competenza di tale organo» (Cass. 255/2022), o ancora quando «l'amministratore disattenda le indicazioni contenute nella delibera autorizzativa adottata dal consiglio di amministrazione» proprio per escludere il conflitto di interessi (Cass. 24156/2022), o infine nell’ipotesi in cui l’operatività dell’art. 2391 c.c. resti esclusa per essere stato il contratto «concluso in esecuzione di una deliberazione inficiata per vizio proprio a causa della rilevata sussistenza di un conflitto di interessi, tanto da determinare l’adozione di un successivo annullamento da parte dell’organo legittimato della Gestione commissariale», in via di autotutela (Cass. 20179/2024).
3.4. – Sennonché di tale questione, che implica le molteplici sfaccettature di cui si è dato sommariamente conto, non v’è traccia nel decreto impugnato, avendo il tribunale semplicemente rilevato che «amministratore delegato di Officine T. (nonché socio al 20% di Git spa, socia unica di Officine T. Lino) e materiale sottoscrittore del contratto di locazione del 18.7.03 per cui è causa era N. T. il quale, già all’epoca, era al contempo componente del CDA di F. (nonché socio al 20% anche di tale società)» (pag. 7).
Ed anche nel riepilogo delle deduzioni dell’opponente non c’è riferimento a tali aspetti (pag. 2 s.).
Si deve allora concludere che la questione, in quanto posta per la prima volta in questa sede, non può trovarvi ingresso.
3.5. – D’altro canto, non può mancarsi di sottolineare che nel caso in esame non viene in rilievo l’azione dell’organo concorsuale diretta all’annullamento del contratto concluso in conflitto di interessi, bensì la mera eccezione di annullabilità volta a paralizzare una pretesa creditoria fondata su un simile titolo, nell’ampio perimetro, tracciato dall’art. 95, comma 1, l.fall., del potere del curatore di «eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione».
3.6. – Con riguardo poi alla pendenza del giudizio di responsabilità promossa dai Commissari straordinari, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui non v’è spazio per l’adombrata praticabilità della sospensione necessaria, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., del giudizio di opposizione ex art. 98 l.fall.
4. – Anche il tema dell’identità degli assetti proprietari soffre delle stesse ragioni di inammissibilità per novità della questione.
Nondimeno può segnalarsi che l’evocata pronuncia di Cass. 24547/2016 attribuisce rilevanza all’eventuale identità delle compagini societarie non già ex sé, ma in combinazione con altri elementi dai quali emerga la piena corrispondenza dell’interesse unico a tutte le parti coinvolte, sicché, per rilevare il conflitto di interessi nel rilascio di una fideiussione da parte di una società a favore del finanziamento di altra società amministrata dallo stesso soggetto, non basta che tutti i soci della prima - sia essa di persone o di capitali - siano anche soci della seconda, con una partecipazione complessivamente tale da garantirne il controllo, ma occorre anche dimostrare che le due società perseguano progetti imprenditoriali di tipo unitario o quantomeno coordinato, perché solo in quel caso il buon andamento della società garantita si riverbera necessariamente a vantaggio della garante.
4.1. – Tale principio è stato anche di recente ribadito, sul presupposto che l’eventuale identità dell’assetto proprietario delle società coinvolte non è sufficiente ad escludere il conflitto di interessi, e che l’accertamento della unitarietà o coordinamento del progetto imprenditoriale passa anche attraverso l’esame dei rispettivi oggetti sociali (v. Cass. 20245/2023, 15033/2024, ove si è valorizzato in senso negativo il fatto che l’oggetto sociale dell’una
s.r.l. consistesse nell’attività di vendita e locazione di immobili, acquisizione di aree fabbricabili e per l’altra s.r.l., invece, in attività legate a compravendita e noleggio di imbarcazioni).
5. – Ancora nuova, e perciò inammissibile in questa sede, è infine la deduzione che parte del contratto di locazione del 18.7.2003 sarebbe stato un «soggetto giuridico del tutto diverso», e cioè Officine T. L. s.p.a. e non Officine T. L. s.r.l. ora in Amministrazione straordinaria, con conseguente «difetto di legittimazione attiva della procedura»; invero di una simile eccezione (al di là del fatto che sembrerebbe trattarsi di una semplice trasformazione dello stesso soggetto giuridico) non si rinviene traccia negli atti di causa.
6. – Sgombrato il campo dai temi di indagine non “arati” nel giudizio di merito, si osserva che entrambi i motivi, pur deducendo formalmente vizi di errores in iudicando e in procedendo, mirano sostanzialmente a una rivisitazione delle risultanze istruttorie – non ammessa in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 34476/2019; conf., tra le più recenti, Cass. nn. 5043, 9429, 10712, 15033 del 2024) – diretta a sovvertire l’accertamento dei giudici di merito circa l’esistenza dei presupposti di fatto del conflitto di interessi su cui si basa l’accoglimento dell’eccezione di annullabilità, ex art. 2475-ter c.c., del contratto di locazione per cui è causa.
6.1. – Del resto, in diritto il tribunale non ha violato il principio per cui il conflitto di interessi ex art. 1394 c.c. non può essere fatto discendere genericamente e aprioristicamente dalla coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma va accertato in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori la società danneggiata dall’atto, e il suo amministratore, o l’altra società che egli ugualmente rappresenti (Cass. 25361/2008, 27547/2014, 29475/2017, 20245/2023, 15033/2024), e va dimostrato non in modo astratto o ipotetico, ma con riferimento al singolo atto o negozio che, per le sue intrinseche caratteristiche, consenta la creazione dell'utile di un soggetto mediante il sacrificio dell'altro (Cass. 8472/1998, 3385/2004, 14481/2008, 271/2017, 2529/2017, 1038/2019, 255/2022).
6.2. – E tuttavia, muovendo da tali basi, ma facendo leva sulla persistente autonomia soggettiva e patrimoniale delle singole società appartenenti a un gruppo, questa Corte ha affermato che la strumentalità di una fideiussione (prestata tra due società aventi il medesimo amministratore e facenti parte dello stesso gruppo) alla conservazione del valore della partecipazione della garante nel capitale della garantita non può ritenersi "in re ipsa", in ragione della detta partecipazione e della comune appartenenza al gruppo, ma va provata dal creditore che voglia giovarsi della garanzia, soprattutto quando vi siano fondati elementi (nella specie, la manifesta sproporzione dell'ammontare della fideiussione "omnibus" rispetto al capitale sociale della garante e l'operatività di questa in un settore diverso da quello specifico del gruppo) per ritenere che non vi sia l'interesse strategico del gruppo a preservare il valore della partecipazione, bensì quello di privilegiare in via esclusiva la garantita, riducendo la garante ad un ruolo di mero asservimento (Cass. 10103/2019; conf. Cass. 20245/2023; v. anche Cass. 15033/2024, in motivazione).
6.3. – Ebbene, allineandosi ai richiamati principi, il tribunale ha ampiamente descritto, da pag. 7 a pag. 11 del decreto, le articolate ragioni in base alle quali ha ritenuto che N. T., mediante la stipula del contratto di locazione e degli altri contratti contestuali di cui si è detto, «aveva posto in essere un’operazione in concreto vantaggiosa solo per F. (e quindi anche per se stesso, essendo egli socio di detta società) e non anche per la società da esso rappresentata e per conto della quale aveva stipulato il contratto di locazione del 18.7.03, la quale era stata in tal modo di fatto asservita agli interessi dell’opponente».
6.4. – A fronte di una motivazione così ampia e dettagliata, non può darsi accesso a una rilettura degli accertamenti in fatto del giudice di merito, sui quali si basa la decisione (cfr., in termini, da ultimo, Cass. 20179/2024, 15033/2024).
Non rientra invero tra i compiti di questa Corte condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, o procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, sovrapponendo la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, e ciò anche se il ricorrente prospettasse un più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. 12052/2007, 3267/2008), poiché, se si ammettesse in sede di legittimità un sindacato sulle quaestiones facti si consentirebbe un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
6.5. – Resta al fondo che, secondo l’indirizzo nomofilattico di questa Corte, l'onere di specificità dei motivi, sancito dall'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., non si riduce alla semplice menzione delle norme che si assumono violate, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., ma obbliga il ricorrente per cassazione a indicare in modo chiaro e specifico quali siano le affermazioni in diritto contenute nel provvedimento impugnato che si debbano ritenere in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. Sez. U, 23745/2020; cfr. anche in motivazione Cass. 28462/2021, 31071/2022, 13408/2023, 15033/2024).
Va insomma escluso che la censura di violazione o falsa applicazione delle norme di legge possa essere “filtrata” dalla valutazione del materiale istruttorio, in assenza di una denunzia del vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. 255/2022 proprio in tema di conflitto di interessi in ambito societario).
7. – La stessa robustezza della motivazione e il (sia pur circoscritto) riferimento in essa contenuto alla perizia di parte – costituente una mera allegazione difensiva, e come tale da valutarsi nell’ambito del materiale istruttorio – rende inconsistente il vizio denunciato col secondo motivo.
7.1. – Va subito sgombrato il campo dall’ipotizzato (ma non pertinente) errore di percezione, avendo le Sezioni unite di recente chiarito che «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass. Sez. U, 5792/2024).
7.2. – In secondo luogo, il ricorrente incorre nell'equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale, quale è l’art. 115 c.p.c., dipendano o siano dimostrate dall'erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un'autonoma questione di malgoverno della norma citata può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori, o al di là, dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (da ultimo, in motivazione, Cass. 15033/2024, 5375/2024, 35782/2023).
Le stesse Sezioni unite hanno anche sancito l’inammissibilità della doglianza che il giudice, «nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c.» (Cass. Sez. U., 20867/2020).
7.3. – Ora, nel caso in esame, il giudicante ha mostrato di aver tenuto conto della perizia prodotta dall’opponente (v. pag. 8 s. del decreto), senza che fosse tenuto, in quanto “peritus peritorum”, né a contestarne le conclusioni, né a disporre apposita c.t.u., una volta assolto il dovere di rendere una congrua motivazione, in linea con il parametro costituzionale (Cass. Sez. U, 8053/2014).
Ed è noto che, ai fini del decidere, il giudice di merito non è tenuto a dar conto analiticamente dell'esame di tutti gli elementi probatori, né ad esprimersi su ogni singola deduzione delle parti (Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017), potendo selezionare, tra tutte le risultanze istruttorie, quelle ritenute più attendibili (Cass. 18134/2004, 20455/2006, 27197/2011, 24679/2013,
25188/2017, 28916/2020), purché sia fornita una motivazione chiara e logica della decisione adottata, tale da rendere evidente che le risultanze con essa incompatibili siano state implicitamente rigettate (Cass. 15033/2024, 956/2023, 29860/2022, 3126/2021, 24434/2016, 25509/2014, 5586/2011, 17145/2006, 12121/2004, 1374/2002, 13359/1999).
7.4. – Lo stesso giudizio sulla necessità di F. ricorso a una c.t.u. rientra nel potere discrezionale del giudice del merito (Cass. 4518/2021, 22130/2020) e la sua decisione di disporla o meno non è di regola censurabile nel giudizio di legittimità, salvo che il vizio sia denunciato secondo il paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., avuto riguardo anche al requisito della decisività (Cass. 7472/2017, 25281/2023), fermo restando che la motivazione del diniego (o della scelta di non disporre) c.t.u. può essere desumibile anche implicitamente – come nel caso di specie – dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass. 326/2020).
8. – Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate on dispositivo.
9. – Ricorrono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13.