Svolgimento del processo
1.- B. M. era stato dipendente di S. S.p.A. con mansioni di operaio metalmeccanico IV livello del CCNL applicato.
Deduceva di essere stato vittima di condotte vessatorie poste in essere dalla società datrice di lavoro ai suoi danni al suo rientro da un periodo di malattia dovuta a infortunio sul lavoro (per il quale pendeva altro giudizio). Aggiungeva di essere stato adibito a mansioni dapprima di portineria, equivalenti alle originarie, ma poi a mansioni inferiori di carico e scarico di bielle del peso di kg. 1,5 ciascuna sulla linea di produzione, per le quali era altresì fisicamente inidoneo, dal momento che l’INAIL gli aveva riconosciuto l’invalidità permanente del 18% in conseguenza dell’infortunio sul lavoro, dal quale erano derivate notevoli limitazioni funzionali alla spalla e al braccio destro con ipomitrofia del cingolo ed ipostenia.
Adìva pertanto il Tribunale di Ivrea per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni, in violazione dell’art. 2103 c.c., e l’ordine alla società di reintegrarlo nelle mansioni di addetto alla portineria oppure ad altre a queste equivalenti.
2.- Rigettata l’istanza cautelare, rigettato altresì il reclamo cautelare, il Tribunale rigettava le domande.
3.- Con sentenza n. 9/2013 la Corte d’Appello di Torino rigettava il gravame del lavoratore, sostenendo che il dedotto demansionamento andasse valutato esclusivamente con riguardo alle specifiche competenze del lavoratore, ai sensi dell’art. 2103 c.c., con esclusione di ogni rilevanza dell’ipotizzato pregiudizio alla salute.
4.- Con sentenza n. 20080/2018 questa Corte di legittimità, in accoglimento del ricorso proposto da B. M. per violazione degli artt.
112 e 113 c.p.c., cassava la sentenza di appello e rinviava per un nuovo giudizio di merito, ritenendo che la domanda potesse e dovesse essere qualificata anche in termini di adempimento in forma specifica della tutela delle condizioni di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.
5.- Riassunto il giudizio da B. M., costituitosi successivamente il sig. B. P. nella qualità di unico erede di B. M., ricostituitosi il contraddittorio con la società, esperito vanamente un tentativo di conciliazione, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello dichiarava il sopravvenuto difetto di interesse ad agire in capo all’erede.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) l’interesse ad agire va valutato non solo con riferimento al momento in cui è proposta l’azione, ma altresì con riguardo al momento della decisione;
b) l’interesse deve essere concreto ed attuale e richiede un risultato utile giuridicamente apprezzabile, non conseguibile senza l’intervento del giudice;
c) nel ricorso in riassunzione l’originario ricorrente ha chiesto la reintegrazione nelle mansioni di addetto alla portineria o equivalenti a salvaguardia della propria salute, ossia la condanna della società in forma specifica, ma non ha proposto domanda di accertamento dell’illegittimità delle mansioni assegnate, né di condanna al risarcimento del danno per equivalente;
d) l’erede B. P. ha richiamato le medesime conclusioni del de cuius;
e) la morte del dante causa ha fatto venire meno il rapporto di lavoro e in tal modo ha precluso la pronunzia di condanna ad un adempimento in forma specifica, che oggi non sarebbe più realizzabile;
f) neppure può sostenersi che l’interesse ad agire permanga sotto il profilo dell’accertamento dell’illiceità della condotta datoriale, sia perché tale domanda non è stata formulata, sia perché non è stata avanzata la domanda di risarcimento per equivalente, che pure sarebbe stata ammissibile in quanto mera emendatio libelli rispetto a quella originaria di adempimento in forma specifica.
6.- Avverso tale sentenza B. P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
7.- S. S.p.A. ha resistito con controricorso.
8.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
9.- Rinviato il giudizio a nuovo ruolo per la fissazione in pubblica udienza, il Procuratore Generale, in persona dell’Avvocata Generale, ha depositato memoria con cui ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
10.- Entrambe le parti hanno depositato nuovamente memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, proposto senza ricondurlo espressamente ad alcuno dei motivi a critica vincolata previsti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 112 c.p.c., ossia un’omessa pronunzia sulla deduzione – contenuta nel ricorso originario e riproposta nei successivi gradi di giudizio – circa l’illegittimità del mutamento di mansioni ex art. 2103 c.c., che integrava apposita domanda.
Con il secondo motivo, proposto senza ricondurlo espressamente ad alcuno dei motivi a critica vincolata previsti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 100 c.p.c. per aver negato l’interesse ad agire rispetto all’accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione – sono fondati.
In via di principio questa Corte ha già affermato che in tema di dequalificazione professionale, ove il lavoratore richieda l'accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l'interesse ad ottenere la pronunzia permane anche dopo l'estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest'ultimo evento soltanto sull'eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, ma non sul diritto all'accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto (Cass. ord. n. 4410/2022; Cass. n. 19009/2010; Cass. n. 12844/2003).
Su un piano più generale, qualora l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna del convenuto ad un facere, la circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione di fare non determina la cessazione della materia del contendere, perché non si estingue l’interesse dell’attore all'accertamento del fatto controverso (Cass. ord. n. 28100/2017).
Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda di accertamento dell’illiceità del mutamento di mansioni non fosse stata proposta.
Invece, alla luce dei princìpi di diritto sopra ricordati, va evidenziato che la domanda di condanna all’adempimento in forma specifica dell’obbligo di protezione ex art. 2087 c.c. – già ravvisato da questa Corte nella precedente sentenza n. 20080/2018 di cassazione con rinvio – implica inevitabilmente e necessariamente quella di accertamento dell’inadempimento del medesimo obbligo (integrato dall’illecito mutamento di mansioni), perché solo se sussiste tale inadempimento sarà possibile per il giudice condannare il convenuto all’adempimento della specifica prestazione. In definitiva, la domanda di condanna all’adempimento contiene sempre in sé anche una domanda (pregiudiziale) di accertamento dell’inadempimento.
Nel caso di specie tale inadempimento contrattuale è rappresentato proprio dall’avvenuta adibizione a mansioni inferiori e pregiudizievoli per il diritto alla salute del de cuius, sicché su tale domanda – che costituiva implicito ma essenziale e necessario presupposto di quella di condanna all’adempimento in forma specifica – la Corte territoriale doveva pronunziarsi.
D’altronde, la domanda di condanna all’adempimento in forma specifica contiene in sé la domanda di accertamento dell’inadempimento, il cui interesse permane anche nel caso in cui l’adempimento in forma specifica non sia più possibile al momento della decisione. Infatti, in omaggio al principio di economia processuale (e, in ultima analisi, del giusto processo ex art. 111 Cost.), in tal caso resta integro l’interesse ad una pronunzia di accertamento dell’inadempimento come fatto giuridicamente qualificato, idonea a passare in giudicato e, quindi, a potere essere utilizzata in un successivo giudizio risarcitorio, limitato solo ai profili dell’esistenza e dell’ammontare del danno. Altrimenti resterebbe inesorabilmente vanificata tutta l’attività giurisdizionale sviluppatasi fino al momento in cui si è verificata la circostanza (nel caso in esame il decesso del lavoratore) che ha reso impossibile l’adempimento in forma specifica della prestazione di fare da parte dell’obbligato (nel caso in esame il datore di lavoro).
Dunque ha errato la Corte territoriale nel ritenere che l’interesse ad agire fosse da valutare soltanto rispetto all’unica domanda espressamente proposta, ossia quella di reintegrazione nelle mansioni di addetto alla portineria o equivalenti.
Peraltro, l’interesse rispetto alla domanda di accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni è collegato alla futura, ma già prospettata, pretesa risarcitoria, che conferma ancora una volta la sussistenza dell’interesse ad agire.
2.- Restano in tal modo assorbiti sia il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta solo in subordine “violazione e falsa applicazione” degli artt. 91, 92, 100 e 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale deciso con la declaratoria di cessazione della materia del contendere; sia il quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte territoriale compensato le spese.
La sentenza impugnata va pertanto casS. con rinvio per la decisione di merito, nonché per la regolazione delle spese di tutti i gradi di giudizio nonché del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione di merito, nonché per la regolazione delle spese di tutti i gradi di giudizio e di quelle del presente giudizio di legittimità.