Svolgimento del processo
- Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR dell'Umbria accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate contro la sentenza della CTP di Terni che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla X s.r.l. avverso l'avviso di accertamento, per imposte dirette ed IVA, emesso in relazione all'anno 2009, con il quale erano stati effettuati vari recuperi d'imposta;
- dalla sentenza impugnata si evince, per quanto qui rileva, che:
- il disconoscimento dei costi di pubblicità, corrisposti in favore alcune associazioni sportive, era legittimo;
- era onere della contribuente fornire la prova dell'inerenza delle spese di pubblicità portate in detrazione;
- la contribuente non aveva dimostrato l'inerenza di detti costi, ovvero il nesso tra il tipo di pubblicità effettuata (essenzialmente rivolta a società dilettantistiche di piccole dimensioni legate al territorio) e la propria clientela;
- dall'elenco della clientela della società contribuente emergeva che il fatturato di maggior consistenza derivava da rapporti commerciali dalla stessa intrattenuti con società nazionali ed estere di grandi dimensioni (come X s.p.a., X , s.p.a., X , X s.p.a.) e detta circostanza era inconciliabile con la tipologia di pubblicità in questione, effettuata presso piccole realtà sportive locali, partecipanti a campionati dilettantistici o giovanili e con importi non irrilevanti;
- la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi;
- l'Agenzia delle entrate si costituiva al solo fine di partecipare all'eventuale udienza di discussione.
Motivi della decisione
- Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non essendosi la CTR pronunciata in ordine all'eccepita inammissibilità dell'appello erariale per difetto di specificità e riferibilità alla sentenza impugnata, in violazione dell'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992;
- il motivo è inammissibile;
- la ricorrente solleva una questione meramente processuale, che non può dar luogo ad un vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito (cfr. Cass. n. 6174 del 14/03/2018; Cass. n. 321 del 12/01/2016; Cass. n. 4191 del 24/02/2006; Cass. n. 22860 del 06/12/2004);
- con il secondo motivo, deduce la illegittimità della sentenza per violazione dell'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., perché la CTR non aveva rilevato che l'appello erariale era inammissibile, essendosi l'Ufficio limitato a riportare le motivazioni dell'avviso di accertamento e il contenuto di quanto asserito nel primo grado del giudizio;
- il motivo è infondato;
- come ha affermato questa Corte, "Nel processo tributario la sanzione di inammissibilità de/l'appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all'art. 14 disp. prel. e.e., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l'accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell'atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l'effettività del sindacato sul merito dell'impugnazione" (ex plurimis, Cass, n. 707 del 15/01/2019);
- di conseguenza, non può ravvisarsi alcuna violazione dell'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, qualora l'atto di appello, benchè formulato in modo sintetico, contenga comunque una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall'intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass. n. 15519 del 21/07/2020);
- del resto, anche "la riproposizione a supporto dell'appello delle ragioni poste a fondamento dell'originaria impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della legittimità dell'accertamento (per l'Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l'onere di impugnazione specifica imposto dall'art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall'atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci" (Cass. 32954 del 20.12.2018), stante il carattere devolutivo pieno dell'appello nel processo tributario, non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 32838 del 19/12/2018; Cass. n. 30525 del 23/11/2018; Cass. n. 1200 del 22/01/2016);
- con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la sentenza non contiene esposizione dei fatti di causa, che erano articolati e complessi;
- il motivo è infondato;
- la sentenza impugnata risulta conforme al disposto dell'art. 36, del d.lgs. n. 546 del 1992 in tema di contenzioso tributario - secondo cui la sentenza deve contenere, fra l'altro, la "concisa esposizione dello svolgimento del processo" e "la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto" - contenendo essa il minimo indispensabile necessario a dar conto dell'accoglimento dell'appello attraverso la concisa esposizione dei fatti rilevanti della causa, rendendo possibile l'individuazione del "thema decidendum" e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (Cass. nn. 13306 e 13308 del 29/05/2013);
- con il quarto motivo, denuncia la illegittimità della sentenza impugnata per violazione del principio di non contestazione ex art. 115 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR accolto l'appello erariale, senza considerare la circostanza, pacifica, che le spese di pubblicità erano state effettivamente sostenute dalla contribuente e dando rilievo a circostanze ulteriori e irrilevanti, quali il nesso tra il tipo di pubblicità effettuata e la propria clientela, nonchè il fatto che la pubblicità effettuata presso piccole realtà sportive locali sarebbe inconciliabile con il risultato del fatturato, che derivava da rapporti commerciali con società nazionali ed estere di grandi dimensioni;
- con il quinto motivo, eccepisce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR valutato erroneamente i documenti prodotti in giudizio, dando rilievo a circostanza ininfluenti e non previste dalla normativa fiscale per il disconoscimento delle spese di pubblicità, riproponendo sotto altro profilo la medesima censura mossa con il quarto motivo;
- con il sesto motivo, lamenta la illegittimità della sentenza per violazione degli artt. 90, comma 8, della I. n. 289 del 2002, 108, comma 2, e 109, comma 5, del TUIR in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che le spese sostenute in favore delle associazioni sportive dilettantistiche (circostanza nella specie pacifica), fino ad un importo annuo complessivamente non superiore ad euro 200.000, sono, per presunzione assoluta di legge, spese di pubblicità deducibili;
- i suindicati motivi, che vanno trattati unitariamente, in quanto connessi, sono fondati nei termini di seguito indicati;
- l'art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, prevede che "Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonchè di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell'articolo 741 comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 91711;
- secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio intende dare continuità, la citata disposizione ha introdotto, a favore del "soggetto erogante" il corrispettivo (nella specie, la società ricorrente), una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria (e non di rappresentanza) delle spese di sponsorizzazione, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (Cass. 7.06.2017, n. 14232), senza che rilevino requisiti ulteriori (ex plurimis, Cass. 1.02.2022, n. 2985);
- il legislatore ha, dunque, stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, rendendo non sindacabile la scelta dell'imprenditore di promuovere il nome, il marchio o l'immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico;
non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa (Cass., 20 dicembre 2018, n. 33030; Cass., 16 dicembre 2019, n. 33120; Cass., 4 marzo 2020, n. 6017) e non è, dunque, più basata sulla necessaria riconducibilità dell'onere alla percezione di ricavi da parte dell'impresa che sostiene il costo;
- non è consentita neppure la contestazione della incongruità o dell'antieconomicità del costo, dal momento che nel campo delle sponsorizzazioni è improponibile, se non impossibile, individuare l'ammontare «congruo» di una sponsorizzazione, poiché queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi, senza la ben che minima garanzia che tale obiettivo possa essere davvero conseguito (Cass. 27 luglio 2021, n. 21452);
- sussiste, pertanto, una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese o associazioni sportive dilettantistiche, laddove risultino soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell'erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1420; Cass., 6 maggio 2019, n. 11797; Cass., 15 gennaio 2020, n. 8540), essendo in tal caso integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor (Cass., 27 luglio 2021, n. 21452);
- la CTR non si è attenuta ai principi sopra esposti, nonostante l'importo complessivo oggetto delle spese di sponsorizzazione non superasse i limiti previsti dalla norma richiamata e l'Agenzia non avesse contestato l'effettiva corresponsione delle somme da parte della società contribuente e la specifica attività dei beneficiari delle stesse, ma si fosse limitata a sostenere la mancanza di inerenza e la antieconomicità della spesa, come si evince dal contenuto dell'avviso impugnato, riportato nel testo del ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza;
- la decisione impugnata risulta, dunque, errata, avendo ritenuto che l'Amministrazione finanziaria potesse sindacare le scelte economiche dell'imprenditore, al fine di negare l'inerenza dei costi di sponsorizzazione manifestamente sproporzionati rispetto all'utilità ritraibile dalla pubblicità;
- in conclusione, vanno accolti il quarto, quinto e sesto motivo, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, e va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado dell'Umbria, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la decisione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado dell'Umbria, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.