L'art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 richiede solamente lo svolgimento oltre confine dell'attività lavorativa e il successivo trasferimento della residenza sul territorio dello Stato alle condizioni stabilite dalla norma stessa.
Il contribuente aveva lavorato all'estero, in regime di distacco, per poi far ritorno in Italia, ove aveva ottenuto un nuovo inquadramento presso la società italiana del medesimo Gruppo multinazionale e aveva stabilito la residenza fiscale.
Poiché il datore di lavoro non ha applicato il regime fiscale agevolato c.d. “impatriati”, il ricorrente ha formulato istanza di rimborso all'Erario, impugnando il diniego.
Si costituiva l'Ufficio che contestava il fatto che la disciplina agevolativa non trovava applicazione per i lavoratori distaccati, richiamando a tal proposito la circolare n. 17 del 2017. L'Ufficio richiamava anche la successiva risoluzione del 5 ottobre 2018, n. 76, con cui è stato chiarito che tale posizione restrittiva «non preclude la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco, ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa».
La CGT di I grado di Milano accoglieva il ricorso del contribuente conseguendone il gravame da parte dell'Agenzia delle Entrate.
La controversia ha ad oggetto l'interpretazione della disciplina applicabile al particolare caso in cui il lavoratore dipendente abbia prestato la propria attività lavorativa in regime di distacco per poi rientrare in Italia.
Dopo aver ripercorso il contenuto dell'
Invero, l'
Pertanto, l'esecuzione della prestazione lavorativa in regime di distacco non osta automaticamente al riconoscimento del diritto al regime fiscale agevolato c.d. “impatriati”.
Per questo motivi, la CGT di II grado della Lombardia rigetta l'appello con sentenza n. 2343 del 10 settembre 2024.
Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sez. VIII, sentenza 10 settembre 2024, n. 2343
Svolgimento del processo
Con ricorso xxxx ha impugnato il diniego di rimborso Irpef relativa al periodo di imposta 2020 per € 21.037,00 derivante dall'applicazione, in sede dichiarativa, del c.d. "regime impatriati", regolato dall'art. 16 D. LGS. 147/2015. Premetteva di essere dipendente del Gruppo multinazionale xxxx dal dicembre 2011, di aver svolto la propria attività all'estero dal 2012, allorché si è iscritta all'Aire; dal 2016 risultava distaccata dalla xxxx presso la consociata cinese; ritornata nel febbraio 2020 in Italia; dal settembre 2020 di aver ottenuto un nuovo inquadramento presso la società italiana; di aver preso residenza a Milano dal dicembre 2020; di risultare come soggetto fiscalmente residente in Italia, ai sensi delle disposizioni contenute nell'art. 2 del TUIR, per l'anno d'imposta 2020. Tali circostanze di fatto, documentate dalla ricorrente, non sono state contestate dall'Ufficio.
Poiché il datore di lavoro non ha applicato la disciplina incentivante, la ricorrente ha formulato istanza di rimborso all'Erario, impugnando il diniego.
Si costituiva l'Ufficio che contestava il fatto che la disciplina agevolativa non trovava applicazione per i lavoratori distaccati, richiamando a tal proposito la circolare n. 17 del 2017.
L'Ufficio richiamava anche la successiva risoluzione del 5 ottobre 2018, n. 76, con cui è stato chiarito che tale posizione restrittiva non preclude la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco, ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa.
L'Ufficio, inoltre, sottolineava che con la circolare n. 33 E del 28 dicembre 2020, l'Amministrazione ha precisato che la "nuova" attività lavorativa che verrà svolta dal lavoratore dipendente al suo rientro in Italia, ovvero il nuovo ruolo aziendale, debba necessariamente porsi in linea di discontinuità con la precedente posizione lavorativa svolta in Italia prima dell'espatrio, e consegua dalla sottoscrizione di un "nuovo" contratto di lavoro, diverso dal contratto in essere in Italia prima del distacco.
Con sentenza n. 2362/2023 pronunciata il 5 giugno 2023 e depositata in segreteria il 27 giugno 2023 la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano accoglieva il ricorso con condanna dell'Ufficio al pagamento delle spese di lite.
I Giudici meneghini motivavano la propria decisione ritenendo che l'interpretazione del quadro normativo applicabile al caso di specie fornita dall'Agenzia delle Entrate, specificatamente nella circolare 33 E sopra richiamata, sia errata in quanto incompatibile con la ratio della norma di cui all'art. 16 che è volta a favorire il rientro in Italia di lavoratori italiani che abbiano prestato all'estero la propria attività lavorativa - non fa dunque alcun riferimento alla necessità di stipulare di un nuovo contratto di lavoro
Presentava appello l'Agenzia delle Entrate sulla base dei seguenti motivi. (i) Omesso esame delle difese della scrivente Agenzia; contraddittorietà dell'apparato motivazionale posto a fondamento della pronuncia o, quantomeno, difetto di motivazione; violazione ed erronea applicazione dell'art. 16 D. LGS. 147/15;
(ii) erronea condanna alle spese stante le difficoltà interpretative delle circostanze fattuali riscontrate e del dettato normativo che avrebbero dovuto imporre la compensazione delle spese.
Si costituiva in giudizio la contribuente che ripercorreva le circostanze di fatto rilevanti evidenziando come esse siano state correttamente valutate ai fini dell'applicazione dell'art. 16 in discussione e condividendo l'interpretazione fornita dalla Corte laddove esclude che il distacco possa essere ostativo al riconoscimento dell'agevolazione.
All'udienza del 24 maggio 2024 le parti si riportavano ai propri scritti difensivi e la Corte tratteneva la causa in decisione.
Motivi della decisione
Letta la sentenza di primo grado, esaminati gli atti di causa e analizzata la documentazione prodotta, la Corte ritiene che l'appello presentato dall'Ufficio debba essere rigettato per le ragioni che verranno di seguito meglio esplicitate.
Come correttamente evidenziato dai Giudici di primo grado, le circostanze di fatto oggetto del presente giudizio non sono contestate e la risoluzione della controversia dipende esclusivamente dall'interpretazione della disciplina applicabile al particolare caso in cui il lavoratore dipendente abbia prestato la propria attività lavorativa in regime di distacco per poi rientrare in Italia.
L'art. 16 D.lgs. 147/2015, così come modificato dall'art. 5 D.L. 34/2019, al comma 1, prevede che "I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:
a) i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi d'imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni;
b) l'attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano".
Il comma 2 dispone che: "Il criterio di determinazione del reddito di cui al comma 1 si applica anche ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 238, le cui categorie vengono individuate tenendo conto delle specifiche esperienze e qualificazioni scientifiche e professionali con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui al comma 3. Il criterio di determinazione del reddito di cui al comma 1 si applica anche ai cittadini di Stati diversi da quelli appartenenti all'Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un diploma di laurea, che hanno svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi ovvero che hanno svolto continuativamente un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream".
Prosegue poi il comma 3 a prevedere che: "Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e per i quattro periodi successivi".
La normativa non ha disciplinato espressamente l'ipotesi del distacco, escludendola dall'agevolazione, tanto è vero che non sussiste nella norma alcun riferimento alla necessità di formalizzazione in Italia, al momento del rientro, di un nuovo contratto di lavoro e dunque dell'esigenza di una discontinuità formale del rapporto di lavoro.
Posto quindi che, ai fini dell'acceso al beneficio, è sufficiente la sussistenza dei presupposti previsti dalla disciplina che, peraltro, nel caso di specie, non sono stati mai messi in discussione dall'Ufficio, ciò basterebbe a confermare la fondatezza dell'istanza di rimborso.
Si ricordi peraltro che i documenti di prassi interna (Circolari e Risoluzioni) in quanto subordinati alla legge non possono modificarne il contenuto prevedendo requisiti restrittivi dalle norme non indicati.
Ad ogni buon conto, anche analizzando gli orientamenti interni dell'ufficio, si può affermare che, dopo una prima posizione di netta chiusura dell'Amministrazione Finanziaria (Circolare n. 17/2017) che, valorizzando la sostanziale continuità del rapporto di lavoro, non ammetteva i distaccati rientrati in Italia alla agevolazione, con la risoluzione n. 76/E del 05.10.2018, l'Ufficio ha chiarito che l'attività lavorativa prestata fuori confine non preclude automaticamente l'accesso al regime agevolato in presenza di alcune condizioni: nei casi in cui il distacco, più volte prorogato e protrattosi nel tempo, ha determinato un affievolimento dei legami del lavoratore con il territorio italiano e ha favorito, invece, un suo radicamento nel territorio estero; nel caso in cui il contribuente assuma un nuovo ruolo in ragione della competenza e dell'esperienza professionali assunte all'estero.
Trasmutando tali principi al caso di specie si ritiene che l'istanza di rimborso fosse fondata e avrebbe dovuto essere accolta con la conseguenza che la sentenza di primo grado deve essere confermata e l'appello dell'Ufficio rigettato.
La soccombenza comporta la condanna alle spese di lite per il soccombente che sono liquidate nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
La Corte rigetta l'appello, conferma la sentenza di primo grado e condanna l'Agenzia delle Entrate appellante al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 2.000,00.=, oltre accessori di legge.