
Lo ha ribadito la Cassazione nella pronuncia in commento, ricordando che non si è in presenza di una segnalazione ai sensi dell'art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001 quando il segnalante agisca per scopi prettamente personali o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro verso i superiori.
La Corte d'Appello di Ancona respingeva l'impugnazione proposta dal lavoratore contro la sentenza emessa dal Tribunale di Macerata avente ad oggetto i provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio e dalla retribuzione e la sospensione del procedimento disciplinare con riguardo a due procedimenti disciplinari avviati nei suoi confronti dal datore di lavoro. A fondamento di tali procedimenti vi erano alcuni esposti presentati alla Procura da parte del lavoratore di cui il datore aveva avuto contezza solo alcuni anni dopo, condotta che avrebbe integrato l'ipotesi di cui all'
Nel rigettare l'impugnazione, la Corte territoriale ha sostenuto che la sospensione del procedimento disciplinare fosse stata legittima, così come la sospensione cautelare dal servizio del lavoratore disposta nell'ambito del procedimento. La sospensione era stata infatti disposta perché intanto era stato intrapreso un procedimento penale a carico del ricorrente per falso collegato agli stessi fatti oggetto del procedimento disciplinare e il cui esito avrebbe inciso sulla valutazione sanzionatoria.
Contro tale pronuncia, propone ricorso per cassazione il lavoratore.
Una volta accolto il primo motivo di ricorso, con la sentenza n. 1880 del 27 gennaio 2025, la Cassazione si concentra sull'istituto del whistleblowing. Il ricorrente infatti, con il secondo motivo di ricorso ha richiamato il quadro normativo vigente ratione temporis, secondo il quale il dipendente che segnali condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza per via del suo rapporto di lavoro non può essere sanzionato, né demansionato o licenziato o trasferito ovvero sottoposto ad altra misura organizzativa con effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro proprio in ragione della segnalazione effettuata.
Il motivo viene giudicato però inammissibile dagli Ermellini, i quali hanno evidenziato che la norma trova applicazione solo fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione o per lo stesso titolo ai sensi dell'
Come osservano i Giudici, l'istituto ha infatti una duplice ratio:
- Delineare uno status giuslavoristico particolare in favore di chi segnala illeciti e
- Favorire l'emersione all'interno delle PP.AA. di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione.
Proprio per tali ragioni, il dipendente virtuoso non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie aventi effetti sulle condizioni di lavoro per motivi legati alla segnalazione effettuata.
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Va evidenziato, però, che il whistleblowing non va utilizzato per scopi personali o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro verso i superiori, in quanto sussistono altre normative e altre procedure per tali conflitti. |
Ebbene, la Corte territoriale aveva appurato che nel caso di specie era presente un interesse personale del lavoratore alla presentazione degli esposti, dunque ciò escludeva l'applicabilità dell'
Ciò determina l'inammissibilità del motivo di ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Ancona ha rigettato l'impugnazione proposta da A.A., nei confronti dell'ASUR Marche, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Macerata.
La Corte d'Appello ha premesso che oggetto del giudizio erano i provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio e dalla retribuzione e sospensione del procedimento disciplinare con riferimento a due procedimenti disciplinari avviati dall'ASUR nei confronti del ricorrente.
Ha quindi ripercorso le vicende di causa, come di seguito riportato.
Nell'ambito del primo procedimento disciplinare indicato al n. 3/2016 veniva contestato al ricorrente di aver posto in essere comportamenti integranti l'ipotesi prevista dall'art. 55-quater, comma 1, lett. e), del D.Lgs. n. 165 del 2001, in quanto aveva presentato due esposti alla Procura della Repubblica, il primo datato 14 aprile 2014, il secondo datato 18 febbraio 2015 (relativamente alla vicenda della definizione transattiva di vertenza giudiziale per pagamento di prestazioni professionali e difesa in giudizio ASUR) di cui la Direzione generale aveva avuto piena contezza solo in data 7 marzo 2016. Nella lettera di contestazione venivano richiamati altri comportamenti tenuti in passato dal lavoratore, al fine di sostenere che la condotta contestata era da qualificare ancora più negativamente come frutto di malafede e di motivi personali di astio e risentimento, benché gli stessi non costituissero precedenti disciplinari.
Con nota del 7 luglio 2016 veniva avviato altro procedimento disciplinare indicato al n. 8/2016 in cui veniva contestato all'appellante di aver tenuto comportamenti integranti il reato di falso materiale nel rilascio di copie autentiche ai sensi dell'art. 478. c.p., per avere rilasciato all'avvocato che rappresentava l'ASUR nel procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo che era stato ottenuto per il pagamento degli onorari, di cui alla vertenza sopra richiamata, una copia della determina di nomina del difensore fiduciario dell'AUSL 10 di Camerino, diversa dall'originale, in quanto priva di sottoscrizione del Dirigente.
Ricorda la Corte d'Appello che a seguito di tale contestazione e dell'audizione dell'interessato, con provvedimento del 9 agosto 2016 si disponeva la sospensione del procedimento disciplinare n. 3/2016, nelle more della definizione del procedimento penale a carico del dipendente per i fatti oggetto del procedimento disciplinare 8/2016, distinto dal primo, che non era stato riunito pur essendo i fatti contestati connessi con quelli del primo procedimento disciplinare.
Si disponeva altresì la sospensione cautelare dal servizio ai sensi degli artt. 25 e 26 del regolamentò ASUR Marche.
Con successivo provvedimento dell'UPD del 3 ottobre 2016 veniva sospeso il procedimento disciplinare 8/2016 in quanto connesso con il procedimento 3/2016, mentre niente si disponeva sulla sospensione cautelare atteso che la stessa era già stata disposta nell'ambito del procedimento disciplinare connesso 3/2016.
Nella sentenza di appello (pag. 6) il giudice di secondo grado ricorda che per il A.A. interveniva "sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste" per i fatti di cui al procedimento disciplinare 8/2016.
Il procedimento penale avviato su segnalazione del C. (oggetto del procedimento disciplinare n.3/2016) si concludeva con assoluzione dell'imputato (l'allora Direttore Generale ASUR Marche) perché il fatto non costituisce reato, con pronuncia confermata in Corte d'Appello.
Riaperti con due distinte note i due procedimenti disciplinari, con rinnovo della contestazione e nuova convocazione per l'audizione, il procedimento 3/2016 si concludeva con l'atto dell'8 gennaio 2021 che conteneva l'irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 6 mesi, mentre il procedimento 8/2016 si concludeva con l'archiviazione, disposta con provvedimento dell'8 gennaio 2021.
Tanto premesso, il giudice d'appello nel rigettare l'impugnazione del lavoratore, ha sostenuto, per quanto qui rileva, la legittimità della sospensione del procedimento disciplinare n. 3/2016 e la sospensione cautelare dal servizio del lavoratore disposta sempre nel procedimento disciplinare 3/2016.
Afferma la Corte d'Appello (pag. 9 della sentenza di appello) che la sospensione del procedimento disciplinare n. 3/2016 è stata disposta in quanto pendeva nei confronti del ricorrente un procedimento penale per falso connesso con i fatti per i quali si procedeva disciplinarmente nel suddetto procedimento n.3/2016, e che poteva avere incidenza sulla valutazione sanzionatoria.
Con il procedimento disciplinare 3/2016 veniva contestato al C. di avere inviato due esposti alla Procura della Repubblica, rappresentando uno scenario privo di fondamento e abusando del proprio ufficio al fine di ledere l'onorabilità professionale del Direttore generale e della dirigenza ASUR. Il procedimento penale pendente, cui si faceva riferimento nel disporre la sospensione del procedimento disciplinare n. 3/2016 riguardava contestazione di falso ex art. 478 c.p.c., oggetto del procedimento disciplinare n. 8/2016.
Pertanto, la Corte d'Appello ha affermato che i due procedimenti disciplinari risultavano connessi di talché legittimamente era stata disposta la sospensione cautelare.
Il giudice di appello ha poi ritenuto che il comportamento del ricorrente, quale quello tenuto nel procedimento disciplinare improntato più alla contrapposizione che alla franca collaborazione, e le condotte contestate erano idonee a ledere l'immagine interna ed esterna della pubblica amministrazione, nonché un regolare svolgimento dell'attività amministrativa, rendendo legittima la sospensione cautelare dal servizio disposta dalla datrice di lavoro (pagg. 12 e 13 della sentenza di appello).
Con ulteriore statuizione ha escluso che nella specie potesse trovare applicazione la disciplina dell'art. 54-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando due motivi di ricorso.
3. Resiste l'ASUR Marche con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
5. Il Procuratore Generale ha depositato requisitorie scritta con cui ha concluso per l'accoglimento del ricorso, come confermato nella discussione in udienza pubblica.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 55-ter del D.Lgs. 165 del 2001, degli artt. 10 e 11 del CCNL dirigenza SPTA (del 17 ottobre 2008) anche, ove occorra, con riferimento agli artt. 1362 e se. c.c. nonché agli artt. 1375 e 1175 c.c. (art. 360 cpc n. 3).
La censura verte sulla violazione e falsa applicazione delle disposizioni normative e contrattuali che disciplinano i presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento di sospensione cautelare, atteso che il provvedimento di sospensione cautelare è stato disposto nell'ambito del procedimento disciplinare 3/2016 promosso per fatti diversi da quelli per i quali il ricorrente veniva sottoposto a procedimento penale.
Deduce il ricorrente che la sospensione cautelare nei suoi confronti veniva intimata nell'ambito del procedimento disciplinare n. 3/16 avente ad oggetto i fatti che hanno condotto all'avvio di un procedimento penale nei confronti dell'allora Direttore Generale ASUR Marche. Viceversa, le condotte di falso materiale per cui l'odierno ricorrente è stato poi, effettivamente, sottoposto al procedimento penale n. 5955/14 (concluso con sentenza del Tribunale di Macerata n. 2225 del 2019, passata in giudicato il 16 maggio 2020, di assoluzione perché il fatto non sussiste, come espone il ricorrente a pag. 4 del ricorso per cassazione) sono state contestate nel diverso e successivo procedimento n. 8/16 che si è chiuso per archiviazione.
1.2. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di inammissibilità del motivo prospettata dalla controricorrente, atteso che la censura investe compiutamente, con le regole del giudizio a critica vincolata, la statuizione della Corte d'Appello.
1.3. Il motivo è fondato.
È pacifico in causa che la sospensione cautelare del lavoratore veniva disposta dall'ASUR esclusivamente nell'ambito del processo disciplinare n. 3 del 2016, sorto dalla contestazione relativa alle due denunce penali dal medesimo sporte all'Autorità giudiziaria di Macerata, e non nel successivo procedimento n. 8 del 2016, che invece riguardava i fatti per cui lo stesso lavoratore era stato sottoposto a processo penale.
L'art. 55-ter del D.Lgs. n. 165 del 2001, come vigente ratione temporis (testo precedente le modifiche apportate dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75) prevede al comma 1: "Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente".
L'art. 10 del CCNL SPTA (Dirigenza Sanitaria, Professionale, Tecnico e Amministrativa) 17 ottobre 2008 (codice disciplinare), al comma 2, stabilisce: "Il dirigente può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione e con sospensione dell'incarico, anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale, che non comporti la restrizione della libertà personale o questa sia comunque cessata, secondo quanto previsto dall'art. 55 ter del D.Lgs. 165/2001, salvo che l'Azienda non proceda direttamente ai sensi dell'art. 11, comma 2 (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale) del presente CCNL".
L'art. 11, commi 1 e 2, del medesimo CCNL, prevede "1. Nell'ipotesi di procedimento disciplinare che abbia, in tutto o in parte, ad oggetto fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, trovano applicazione le disposizioni dell'art.55ter, del D.Lgs.n.165/2001.
2. L'Azienda, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dirigente e, quando all'esito dell'istruttoria, non disponga di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare attivato".
Anche il Regolamento ASUR, art. 25, correla la sospensione facoltativa cautelare alla sottoposizione a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale o questa sia comunque cessata, e all'art. 26 richiama l'art. 55-ter, del D.Lgs. n. 165 del 2001.
Le disposizioni contrattuali richiamate sono chiare nel subordinare la possibilità della sospensione facoltativa cautelare alla pendenza di procedimento penale a carico del lavoratore per gli stessi fatti per cui sia stato promosso il procedimento disciplinare.
La previsione è connessa con la possibilità della sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale e dunque il protrarsi del procedimento disciplinare, e contempera gli opposti interessi.
La pendenza del procedimento penale per gli stessi fatti contestati in sede disciplinare costituisce elemento costitutivo del diritto riconosciuto al datore di lavoro e non una mera condizione di efficacia, con la conseguenza che l'esercizio del potere in difetto dei necessari presupposti richiesti dalla fonte contrattuale dà luogo ad un'invalidità dell'atto, non già alla sola temporanea inefficacia dello stesso (cfr., Cass., n. 20798 del 2018).
Ha errato, pertanto, la Corte territoriale nell'affermare che il provvedimento di sospensione cautelare, adottato rispetto al procedimento disciplinare 3/2016 promosso per fatti per cui non pendeva a carico del lavoratore procedimento, è stato adottato legittimamente, pur in assenza di un procedimento penale al riguardo, in considerazione della gravità dei fatti contestati e della lesione dell'immagine di ASUR.
Né può supplire a tale carenza il richiamo effettuato dalla Corte d'Appello, nella prospettiva di una connessione di fatto, alla vicenda oggetto di distinto procedimento disciplinare n. 8/2016, pacificamente non riunito al primo, avente ad oggetto contestazioni disciplinari diverse per fatti per cui veniva promosso procedimento penale, in quanto la pendenza del procedimento penale nei termini sopra indicati, è vicenda giuridica tipizzata dalla contrattazione collettiva e dal legislatore.
Le norme che regolano il potere dell'Amministrazione di procedere cautelarmente alla sospensione del dipendente vanno infatti interpretate restrittivamente: ed in caso di mancanza di uno degli elementi costitutivi del diritto riconosciuto al datore di lavoro, l'esercizio del potere in difetto dei necessari presupposti richiesti dalla fonte contrattuale dà luogo ad un'invalidità dell'atto (cfr., Cass., n. 20708/2018).
Si può, inoltre, ricordare che questa Corte è stata più volte chiamata a pronunciare sulla natura della sospensione cautelare (si v., ex aliis, Cass. n. 10137/2018, n. 20708/2018, n. 7657/2019) e, in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale, ha evidenziato che la sospensione, in quanto misura cautelare e interinale, "ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l'esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti" (Corte Cost. 6.2. 1973 n. 168).
Si è sottolineato in relazione alla sospensione facoltativa che la stessa è solo finalizzata a impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l'immagine e il prestigio dell'amministrazione di appartenenza, la quale, quindi, è tenuta a valutare se nel caso concreto la gravità delle condotte per le quali si procede giustifichi l'immediato allontanamento dell'impiegato. Ove l'amministrazione, valutati i contrapposti interessi in gioco, opti per la sospensione, in difetto di una diversa espressa previsione di legge o di contratto, opera il principio generale secondo cui "quando la mancata prestazione dipenda dall'iniziativa del datore di lavoro grava su quest'ultimo soggetto l'alea conseguente all'accertamento della ragione che ha giustificato la sospensione" (Corte Cost. n. 168/1973). La verifica dell'effettiva sussistenza di ragioni idonee a giustificare l'immediato allontanamento è indissolubilmente legata all'esito del procedimento disciplinare, perché solo qualora quest'ultimo si concluda validamente con una sanzione di carattere espulsivo potrà dirsi giustificata la scelta del datore di lavoro di sospendere il rapporto, in attesa dell'accertamento della responsabilità penale e disciplinare.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione dell'art. 54-bis D.Lgs. 165/2001 (con riferimento all' art. 360 cpc n. 3).
Il ricorrente richiama il quadro normativo in cui si inscrive l'istituto invocato, a norma del quale il dipendente che abbia segnalato condotte illecite delle quali sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto al altra misura organizzativa avente effetti negativi diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro, in ragione della segnalazione effettuata.
Tale disciplina troverebbe applicazione rispetto all'ASUR Marche, e porterebbe ad escludere che al lavoratore potesse essere irrogata la sanzione disciplinare.
Nella specie non era stato dimostrato un interesse personale nell'effettuazione delle denunce, la sentenza di appello era generica, confusa e contraddittoria e non ricorreva neppure l'ipotesi di reato di calunnia e/o diffamazione che giustificherebbero la mancata applicazione dell'art. 54, cit.
2.1. Il motivo è inammissibile.
L'art. 54-bis, nel testo applicabile ratione temporis (precedente alle modifiche apportate dalla legge 30 novembre 2017, n. 179.) prevede: "Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia".
L'istituto risponde ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall'altro, nel favorire l'emersione, dall'interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione. Il dipendente virtuoso non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante (Cass., n. 17715 del 2024).
L'istituto del cd. whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.
La Corte territoriale con accertamento in fatto, spiegato con motivazione congrua e logica, ha affermato che vi era stato un interesse personale alla presentazione delle denunce, dalle quali traspariva la doglianza relativa alla gestione del contenzioso ASUR in contrasto con le indicazioni che esso ricorrente in qualità di responsabile del procedimento aveva fornito all'Amministrazione. Si era rivelata, dunque, la presenza di un interesse personale che portava ad escludere l'applicazione del citato art. 54-bis.
Tale accertamento, su cui si fonda la ratio decidendi, si incentra sul contenuto delle denunce, ma sul punto non vi è adeguata censura, atteso che tali documenti non sono riprodotti nel ricorso, sia pure nei passaggi ritenuti rilevanti.
In mancanza di una specifica e circostanziata contestazione non è, infatti, rivedibile in questa sede l'accertamento svolto dalla Corte territoriale circa l'assenza di profili di rilevanza riconducibile all'istituto in questione, e come già affermato da Cass., n. 17715 del 2014, sopra richiamata, non si è in presenza di una segnalazione ex art. 54-bis, D.Lgs. 165 del 2001, scriminante, allorquando il segnalante agisca per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori (in tal senso vi è anche giurisprudenza amministrativa: v. da ultimo Consiglio di Stato sez. II, 17/07/2023, n. 7002; T.A.R. Roma, Lazio, sez. I, 07/01/2023, n. 236; T.A.R. Napoli, Campania, sez. VI, 06/02/2020, n. 580: "L'istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre norme e da altre procedure. Le circolari emanate in materia hanno, inoltre, chiarito che le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure").
3. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Inammissibile il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Ancona in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Inammissibile il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Ancona in diversa composizione.