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«il socio di società a responsabilità limitata che abbia dato in pegno la propria quota conserva il diritto a impugnare la deliberazione assembleare nella quale abbia votato in sua vece il creditore pignoratizio, atteso che dal combinato disposto degli |
Svolgimento del processo
1. P. - P. S. Srl (in prosieguo, breviter "PPS") ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e illustrato anche con memoria, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l'impugnazione proposta dai soci A.A. e B.B., annullando per l'effetto la deliberazione assembleare del 30 giugno 2014 delle PPS, avente a oggetto l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio sociale 2013.
2. A.A. e B.B. hanno resistito con controricorso.
3. La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che la socia A.A. era legittimata a impugnare la deliberazione per cui è causa anche con riguardo ai vizi implicanti il suo mero annullamento, atteso che, alla data della deliberazione impugnata, risultava depositato presso il Registro delle imprese l'atto di acquisto della sua quota sociale, in relazione al quale il gradimento dei soci di PSS era stato espresso in forma tacita e concludente, siccome essi avevano rinunciato alla prelazione statutaria di acquisto e avevano senza contestazioni accettato la partecipazione della A.A. all'assemblea del 24 gennaio 2014, avente all'ordine del giorno la cessione di un ramo di azienda: entrambe circostanze che, univocamente, dimostravano un atteggiamento tacito di accettazione dell'ingresso del nuovo socio nella compagine sociale; partecipazione che la A.A. aveva esteso anche all'assemblea oggetto di impugnazione senza che, nemmeno in tale occasione, vi fosse stata alcuna manifestazione di contrarietà da parte degli altri soci. Di talché del tutto irrilevante era la circostanza che nel settembre del 2014 alcuni soci avessero manifestato il mancato gradimento all'ingresso della A.A., atteso che tale "ritrattazione" doveva ritenersi del tutto inefficace, posta la natura negoziale dell'atto di gradimento che, quand'anche espresso in forma implicita, comporta la vincolatività della dichiarazione resa e, quindi, la radicale inefficacia del successivo ripensamento; un'inefficacia rispetto alla quale del tutto irrilevante era la circostanza che la A.A. non avesse impugnato la deliberazione del settembre 2014 ove tale revoca del gradimento era stata rappresentata da alcuni soci; b) che legittimata a impugnare la deliberazione doveva ritenersi anche la B.B., atteso che l'atto di costituzione di pegno delle quote di costei in favore di C.C., la cui validità poteva essere incidentalmente valutata attesa la mancata dimostrazione di un esito pregiudicante di un parallelo giudizio civile avente ad oggetto la medesima questione, doveva ritenersi radicalmente nullo, in quanto avente oggetto assolutamente indeterminato essendo privo dell'indicazione dei crediti garantiti; c) che la delibera impugnata era affetta da un vizio di carenza di informazione, non risultando depositato presso la sede sociale il progetto di bilancio, oggetto di successiva approvazione in assemblea, né alcuna documentazione relativa alle scritture contabili utilizzate per la sua redazione e all'incidenza su di esso della partecipazione di PSS al capitale di altre società controllate e collegate; d) che la circostanza che la sola A.A. avesse ammesso di aver potuto consultare il predetto progetto di bilancio nei quindici giorni precedenti all'assemblea di approvazione, non toglieva rilievo all'omesso deposito con riferimento all'altra impugnante e, in ogni caso, anche nei confronti della A.A. non sanava il difetto di informazione atteso che, anche in occasione della consultazione delle scritture, non era stata messa a disposizione del socio la documentazione contabile a supporto del progetto di bilancio esibito; e) il mancato deposito della documentazione informativa prevista dall'articolo 2429 cod. civ. importava l'annullamento della delibera di approvazione del bilancio, che estendeva la sua inefficacia anche all'approvazione del rinvio a nuovo dell'utile di esercizio, siccome dipendente dall'approvazione del bilancio.
Motivi della decisione
1. Il ricorso lamenta:
A. "Primo motivo di ricorso. Sull'accertamento incidentale della pretesa qualifica di socio della signora A.A. Violazione e falsa applicazione degli articoli 2469 - 2479 - 2479-bis - 2479-ter e 2377 c.c., anche relativamente agli artt. 1363 - 1366 - 1368 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5 c.p.c.)", deducendosi, sotto tre distinti profili: a1) che la clausola di gradimento prevedesse la manifestazione di questo da parte della società - dunque con una delibera imputabile all'ente - e non da parte dei soci uti singuli, come ritenuto la Corte di appello, e che tale manifestazione non potesse, pertanto, avvenire per fatti concludenti, come ritenuto sempre dalla sentenza impugnata, necessitando invece delle forme prescritte dalla legge, in particolare dall'art. 2479, terzo comma, cod. civ., che rimanda all'uopo allo statuto, il quale prevede, nella specie, la manifestazione scritta del consenso dei soci; a 2) che i fatti indicati dalla Corte territoriale non consentirebbero di inferire la manifestazione del gradimento dei soci; a 3) che, in ogni caso, il gradimento sarebbe stato revocato dalla successiva delibera assembleare.
Il motivo non può trovare accoglimento.
La censura sub a1) è inammissibile perché implica un'interpretazione delle previsioni statutarie diversa da quella ritenuta dalla corte territoriale, senza che sia stata formulata una censura di violazione di norme ermeneutiche; né viene articolata un'idonea censura di omesso esame di fatto decisivo, ai sensi del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., non risultando in alcun modo esplicitato nel corpo della censura alcun riferimento al suo contenuto proprio (omesso esame di un fatto storico-naturalistico dedotto e discusso in lite e decisivo ai fini del decidere), come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte a far data dalla sentenza a Sezioni Unite n. 8053 del 07/04/2014. Alla presente controversia si applica, infatti, l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. nella formulazione introdotta a seguito dell'entrata in vigore della legge 7 agosto 2012, n. 134. Ciò comporta che il vizio motivazionale è denunciabile in cassazione ai sensi del suddetto articolo solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
L'irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell'applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all'omesso esame di un fatto storico - da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; id. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; id. Sez. 2, Ordinanza n. 20610 del 09/07/2021), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018).
Tanto determina l'inammissibilità della conseguente critica basata sulla necessità del rispetto delle forme previste per la manifestazione del consenso dei soci ai sensi dell'art. 2479, terzo comma, cod. civ.: tali forme, infatti, si applicano alle decisioni dei soci imputabili alla società, e non alle manifestazioni di volontà dei soci uti singuli.
La censura sub a2) è inammissibile perché configura, nella sostanza, una censura di merito, essendo ancora una volta carente - sotto il profilo dei requisiti della specificità dell'indicazione dei fatti, della loro deduzione nel giudizio di merito e dell'argomentazione della decisività - l'articolazione di una censura ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
Inammissibile è anche la censura sub a 3). La previsione della ritrattabilità - ritenuta dalla ricorrente - del gradimento manifestato dai soci, è questione di merito, attinente al contenuto e all'interpretazione delle previsioni statutarie riguardanti la clausola di gradimento, come tale sottratta ai poteri di accertamento del giudice di legittimità.
B. "Secondo motivo di ricorso. Sull'erroneo accertamento incidentale di pretesa nullità del pegno sulle quote sociali della signora B.B. Violazione e falsa applicazione degli articoli 2479-ter - 1418 - 1346 - 2784 - 2786 - 2787 c.c. e degli artt. 295 e 39 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5 c.p.c.)", deducendosi, sotto distinti profili:
b 1) il difetto di legittimazione della B.B. a impugnare la deliberazione assembleare in quanto, in relazione alla sua quota di partecipazione, aveva partecipato all'assemblea, esprimendo voto favorevole, il creditore pignoratizio: non essendo stata impugnata la delibera anche per la sua illegittima partecipazione al voto, il voto relativo alla quota di proprietà della B.B. avrebbe infatti dovuto ritenersi validamente espresso dal creditore pignoratizio, impegnando automaticamente anche la proprietaria della quota;
b 2) la necessità di sospensione del processo, ex art. 295 cod. proc. civ., per la pendenza di altro giudizio avente a oggetto la nullità del pegno sulla quota appartenente alla B.B., nel quale era stata pronunciata sentenza di primo grado, appellata; questione che sarebbe stata erroneamente superata dalla Corte territoriale facendo applicazione dell'art. 337, comma secondo, cod. proc. civ.;
b 3) l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto di poter delibare la validità della costituzione della garanzia, perché l'omessa indicazione del credito garantito non determinerebbe alcuna conseguenza sulla validità della costituzione della garanzia.
Il motivo non può trovare accoglimento. Va rilevato preliminarmente che il riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., pur contenuto nella rubrica del motivo in esame, non risulta in alcun modo esplicitato nel corpo della censura, segnatamente con riferimento al suo contenuto proprio, come argomentato a commento del primo motivo di ricorso, sicché il motivo è, in parte qua, inammissibile.
Per quanto attiene alla restante parte della censura, va rilevato: quanto alla prospettazione sub b 1) che essa è infondata, perché il voto del creditore pignoratizio, per quanto riferito alla quota del rispettivo titolare, non è espresso in rappresentanza di quest'ultimo, ma in sua sostituzione. Tanto comporta che il deliberato assembleare, il cui voto sia stato espresso dal creditore pignoratizio in luogo del socio, vincola anche quest'ultimo ove si consolidi per effetto della mancata impugnazione. Ma a tal proposito, deve ritenersi che il socio, la cui quota sia stata ceduta in pegno, conserva il diritto a impugnare la deliberazione assembleare cui abbia partecipato il creditore pignoratizio, atteso che la sua posizione è equiparabile a quella dei soci assenti o dissenzienti, non potendo certo ritenersi che il voto favorevole del creditore pignoratizio della quota precluda al socio l'esercizio dei poteri amministrativi a esso spettanti in dipendenza della propria qualità di socio. Pertanto, ove non si rinvenga un espresso conferimento del potere di rappresentanza anche sostanziale del socio al creditore pignoratizio della quota, quest'ultimo è sì legittimato a partecipare all'assemblea in luogo del socio, ma tale sostituzione non è certo tale da privare il socio del diritto di contestare la validità dell'assemblea. L'art. 2471-bis cod. civ., che disciplina il pegno della partecipazione, rinvia espressamente all'art. 2352 cod. civ., nel quale è chiaramente previsto che al creditore pignoratizio spetta in via esclusiva il diritto di voto in assemblea ma che (cfr. comma 6), in assenza di diversa pattuizione, il socio oppignorato conserva i diritti amministrativi diversi da quelli inerenti al solo diritto di voto, tra i quali rientra appieno anche quello di impugnare la deliberazione illegittima.
Deve, pertanto affermarsi il seguente principio di diritto: il socio di società a responsabilità limitata che abbia dato in pegno la propria quota conserva il diritto a impugnare la deliberazione assembleare nella quale abbia votato in sua vece il creditore pignoratizio, atteso che dal combinato disposto degli artt. 2471-bis e 2352 cod. civ. si evince che il socio, la cui quota sia stata oggetto di pegno, perde il solo diritto di voto in assemblea, ma conserva, in difetto di diversa pattuizione, tutti gli altri diritti amministrativi connessi alla relativa qualità, ivi compreso quello di impugnazione delle deliberazioni contrarie alla legge o all'atto costitutivo.
La prospettazione sub b 2) è inammissibile perché la sospensione necessaria, ex art. 295 cod. proc. civ., si applica esclusivamente allorché i due giudizi, quello pregiudiziale e quello pregiudicato, vertano tra le stesse parti e in entrambi la questione pregiudiziale debba essere decisa con efficacia di giudicato. Nella specie, invece, la censura in esame, in violazione del principio di specificità del motivo di ricorso per cassazione, non indica quali siano le parti del processo pregiudiziale (nel controricorso si afferma, peraltro, che esso verteva tra soggetti diversi, ossia fra la B.B. e suo padre C.C.); sotto concorrente profilo, poi, deve anche rilevarsi che la questione della nullità del pegno è oggetto di accertamento meramente incidentale nel presente giudizio.
La prospettazione sub b 3) è infondata atteso che l'assoluta impossibilità di identificare l'oggetto della garanzia, conseguente alla mancata indicazione dei crediti garantiti (e dunque dei soggetti legittimati a operare quali concreti detentori del titolo in luogo del debitore), costituisce, contrariamente a quanto opina la ricorrente, causa di nullità del pegno, come costantemente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 24790/2016; n. 7214/2009; n. 7871/1998; n. 1927/1972.
C. "Terzo motivo di ricorso. Sull'erroneo accertamento di omesso deposito del progetto di bilancio presso la sede sociale. Violazione e falsa applicazione degli articoli 2476 - 2478-bis - e 2429 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5 c.p.c.)", deducendosi, sotto distinti profili:
c 1) erroneità della valutazione di difetto di contestazione specifica della deduzione di insussistenza della sede sociale P. Srl nel luogo stabilito, per essere la contestazione limitata al difetto di prova dell'assunto della A.A. in proposito;
c 2) difetto di proposizione, da parte della B.B., dell'eccezione di omesso deposito del progetto di bilancio ex art. 2429 cod. civ.;
c 3) erroneità della sentenza impugnata atteso che il preventivo deposito del bilancio non sarebbe previsto per le società responsabilità limitata dall'articolo 2478-bis cod. civ., essendo ivi previsto solamente che il bilancio debba essere redatto con l'osservanza delle disposizioni di contenuto-forma previste al Capo Quinto immediatamente precedente, giacché non può estendersi alle Srl la disciplina specificamente prevista per le Spa, né essendovi, del resto, alcuna prova che la A.A. non sia stata in grado di accedere agli uffici della società per esaminare il progetto di bilancio, né avendo la B.B. formulato eccezione di omesso deposito del progetto medesimo.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Va rilevato, preliminarmente, che il riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., pur contenuto nella rubrica del motivo in esame, non risulta in alcun modo esplicitato nel corpo della censura, segnatamente con riferimento al suo contenuto proprio, come argomentato a commento del primo motivo di ricorso, sicché il motivo è, in parte qua, inammissibile.
Per quanto attiene alla restante parte della censura, va rilevato:
la prospettazione sub c 1) è inammissibile perché l'accertamento della sussistenza o meno di una specifica contestazione di fatti, ai sensi dell'art. 115 cod. proc. civ., è riservato al giudice del merito e non è sindacabile in cassazione se non per vizio di motivazione (Cass. 10182/2007, 3680/2019, 27490/2019), nella specie, come detto, non correttamente dedotto, né essendo in ogni caso il ragionamento della Corte di appello illogico.
La prospettazione sub c 2) è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo indicato nella censura alcun elemento inerente al contenuto delle difese della B.B. dal quale possa ricavarsi il difetto di deduzione della questione in parola; inoltre, va rilevato che difetta anche la decisività della censura, posto che la delibera è stata annullata anche per difetto di deposito della documentazione allegata al bilancio ai sensi dell'art. 2429 cod. civ., questione sollevata quanto meno dalla A.A. (senza essere superata dall'avvenuto esame dei documenti da parte della stessa, limitato al solo progetto di bilancio).
La prospettazione su c 3) è infondata, atteso che l'interpretazione data dalla Corte di appello dell'art. 2429 cod. civ. è condivisibile e, per converso, non è condivisibile la ricostruzione contenuta nel motivo in esame. L'art. 2478-bis cod. civ., nella sua formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 139 del 2015, nel disciplinare il procedimento di redazione del bilancio delle Srl, richiama espressamente, al primo comma, l'applicabilità delle disposizioni di cui alla sezione IX, del capo V del libro Quinto del Codice Civile. Tra le disposizioni della Sezione IX rientra anche l'art. 2429 cod. civ., che disciplina il "procedimento di approvazione del bilancio", nelle sue distinte fasi, tra le quali, per quanto qui interessa (cfr. art. 2429, comma 3), rientra quella che prevede l'obbligo per gli amministratori di depositare il progetto di bilancio, corredato di tutta la documentazione necessaria per la sua valutazione, presso la sede della società almeno quindici giorni prima della celebrazione dell'assemblea per la sua approvazione. Nessun criterio ermeneutico, né letterale, né sistematico, può legittimare una lettura riduttiva di tale rinvio: non letterale, perché il rinvio dell'art. 2478-bis è all'intera Sezione IX (ivi compreso quindi l'art. 2429 cod. civ., nella parte in cui si prevede il diritto del socio a prendere visione del progetto di bilancio e dei documenti a esso allegati prima della celebrazione dell'assemblea di approvazione); non sistematico, perché il diritto di consultazione del bilancio e delle scritture contabili di appoggio, sulla cui base il bilancio stesso è stato redatto, costituisce espressione del diritto partecipativo dei soci di società di capitali, sicché una sua immotivata negazione per le sole Srl sarebbe non solo incongrua, ma addirittura contrastante con la nuova impronta che la Srl ha avuto dalla Riforma del 2003, che ha inteso valorizzare e potenziare i diritti partecipativi del socio di Srl Diritti partecipativi che comprendono evidentemente il pieno diritto anche del socio di Srl, al pari di quello di Spa, a esprimere un "consenso informato" allorquando la deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio è discussa e posta in votazione in assemblea. Un consenso informato che, ove non si riconoscesse anche al socio di Srl il diritto a godere di uno spatium deliberandi tra il deposito del progetto di bilancio presso la società e la celebrazione della relativa assemblea di approvazione, rischierebbe di essere del tutto immotivatamente e contraddittoriamente frustrato.
Parimenti inammissibile è, infine, il tentativo di contestare in questa fase di legittimità l'accertamento probatorio compiuto dal giudice del merito inerente all'avvenuta dimostrazione del mancato rispetto nel caso di specie del termine previsto dall'art. 2429 cod. civ.
D. "Quarto motivo di ricorso. Sul rigetto dell'appello incidentale in merito alle spese di c.t.u. e sulla condanna al versamento del doppio del contributo unificato a carico dell'appellante incidentale. Violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e dell'art. 13, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nonché degli artt. 112 e 346 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.)." Si deduce l'erroneità della sentenza impugnata, atteso che PSS sarebbe stata ingiustamente condannata al rimborso totale delle spese della consulenza tecnica di ufficio espletata, posto che la stessa aveva respinto tutte le contestazioni delle due socie impugnanti, in assenza peraltro di alcuna domanda da queste formulata inerente alla regolazione delle spese medesime, risultando infine violata anche la disciplina del pagamento del doppio del contributo unificato.
Il motivo non può trovare accoglimento, atteso che, da un canto, le spese di c.t.u. fanno parte integrante delle generali spese processuali (Cass. Sez. L., Ordinanza n. 20763 del 17/08/2018) e, quindi, anche per esse vige il principio secondo cui la loro regolamentazione appartiene all'esclusiva responsabilità del giudice del merito che, nel regolarle, deve solo evitare di porle totalmente a carico della parte vincitrice; ciò che nella specie non è accaduto, atteso che PSS è risultata soccombente in grado di appello e, proprio in ragione del criterio della soccombenza, la Corte di appello ha inteso regolare le spese processuali. Quanto al profilo inerente al raddoppio del contributo unificato a carico del soccombente, la censura è inammissibile, dovendo ribadirsi quanto già costantemente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 22867/2016, id n. 15166/2018, id. n. 29424/2019, id. n. 27131/2020), secondo cui la declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, in ragione dell'integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, non ha natura di condanna - non riguardando l'oggetto del contendere tra le parti in causa - bensì la funzione di agevolare l'accertamento amministrativo e, pertanto, non ne preclude la contestazione nelle competenti sedi da parte dell'amministrazione ovvero del privato, ma, al contempo, non ne consente la deducibilità come autonomo motivo di impugnazione.
2. Il ricorso va, quindi, complessivamente rigettato.
La soccombenza regola le spese della presente fase di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna P. - P. S. Srl - a rifondere a A.A. e B.B. le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.