Questo il parere del Consiglio di Stato in risposta alle relazioni giunte dal Ministero dell'Interno e dal Ministero della Difesa. Per il personale militare e delle Forze di polizia, dunque, è salvaguardata l'applicazione delle corrispondenti normative di settore.
Con il parere n. 1485 del 30 novembre 2023, il Consiglio di Stato esprime parere in merito alle relazioni pervenute dal Ministero dell'Interno e dal Ministero della Difesa circa l'applicazione della nuova normativa sul whistleblowing (introdotta dal
Evidenziano infatti i due Ministeri che dall'applicazione della novella potrebbero derivare delle antinomie giuridiche suscettibili di determinare un disallineamento con gli ordinamenti suddetti nel caso in cui non si raggiunga un punto di equilibrio tra le nuove disposizioni e le esigenze legate alla particolarità dei compiti, dei doveri e delle funzioni derivanti dal rapporto di impiego del personale delle Forze armate e di polizia (ad ordinamento civile e militare).
Tra le possibili problematiche evidenziate: il rischio elevato di compromettere la funzionalità dell'Amministrazione di appartenenza, che sarebbe costretta a dover giustificare ogni successivo atto di gestione del personale, o addirittura ad astenersi dall'adottare eventuali provvedimenti di natura organizzativa, gestionale, disciplinare e cautelare, oltre alle problematiche nascenti in sede di espletamento delle funzioni di polizia giudiziaria, quando l'ufficiale o l'agente denunci fatti che riguardano l'integrità della propria Amministrazione con riguardo all'opportunità di farlo restare tra coloro che svolgono l'attività investigativa, alla violazione del segreto istruttorio e all'esercizio dei poteri dell'autorità giudiziaria in termini di assegnazione, coordinamento e direzione delle sezioni di polizia giudiziaria.
Come sottolinea il Consiglio di Stato nel parere in esame, nodo della questione è l'interpretazione dell'ambito di applicazione oggettivo della normativa sul whistleblowing, ovvero dell'
|
Da tale excursus, i Giudici amministrativi evidenziano che l'art. 1 Decreto whistleblowing va interpretato in modo da non pregiudicare la responsabilità degli Stati membri di garantire la sicurezza nazionale, né il loro potere di tutelare i propri interessi essenziali di sicurezza, e ciò significa che occorre salvaguardare le singole normative di settore che non possono ritenersi incise né considerarsi recessive rispetto alle disposizioni in materia di whistleblowing, essendo la loro applicazione funzionale alla tutela, appunto, della difesa nazionale e di ordine e sicurezza pubblica, che fanno parte del più ampio genus della “sicurezza nazionale”. |
Del resto, anche la Corte costituzionale si era espressa sul punto, rilevando che la regola generale è che, salvo la legge non disponga diversamente, ogni Forza di polizia o armata ha autonoma disciplina giuridica ed economica che non è comparabile con lo statuto del personale pubblico in genere.
Il parere dei Giudici è nei termini di cui sopra, restando salva la facoltà del Legislatore di migliorare la qualità della regolazione e di definire in termini più precisi il punto di equilibrio nel contemperamento tra i valori potenzialmente confliggenti e gli interessi in gioco in materia.
Consiglio di Stato, sez. I, parere (ad. 19 ottobre 2023) 30 novembre 2023, n. 1485
Premesso in fatto / Considerato in diritto
1. Con distinte relazioni del 27 giugno 2023 e dell’1 agosto 2023, il Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza e il Ministero della difesa - Comando generale dell’Arma dei carabinieri hanno premesso che il decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali” (cd. direttiva whistleblowing):
a) ha esteso gli istituti di protezione previsti dal diritto dell’Unione alla normativa nazionale, con contestuale abrogazione dell’art. 54 bis del d.lgs. n. 165/2001, rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”, inserito dall’art. 1, comma 51, della legge n. 190 del 2012 e sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge n. 179 del 2017;
b) ha individuato all’art. 3 l'ambito di applicazione soggettivo esteso a tutti i dipendenti pubblici, ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai collaboratori che svolgono la propria attività presso i soggetti pubblici e privati oppure forniscono beni o servizi, ai liberi professionisti e ai consulenti, ma anche ai volontari e ai tirocinanti non retribuiti;
c) ha perimetrato all’art. 1 l'ambito di applicazione oggettivo:
- al comma 2 escludendo:
1) le contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all'autorità giudiziaria o contabile quando attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero ineriscono ai propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate;
2) le segnalazioni di violazioni laddove già disciplinate in via obbligatoria dagli atti dell'Unione europea o nazionali indicati nella parte II dell'allegato al decreto ovvero da quelli nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell'Unione europea indicati nella parte II dell'allegato alla direttiva (UE) 2019/1937, seppur non indicati nella parte II dell'allegato;
3) le segnalazioni di violazioni in materia di sicurezza nazionale, nonché di appalti relativi ad aspetti di difesa o di sicurezza nazionale, a meno che tali aspetti rientrino nel diritto derivato pertinente dell'Unione europea;
- al comma 3 facendo salva l'applicazione delle disposizioni nazionali o dell'Unione europea in materia di:
a) informazioni classificate;
b) segreto professionale forense e medico;
c) segretezza delle deliberazioni degli organi giurisdizionali.
- al comma 4, prevedendo, rispetto alla disciplina di cui trattasi, una ulteriore clausola di salvaguardia della applicazione di alcuni settori normativi, di cui sono confermati i principi organizzativi e funzionali, e, segnatamente, “in materia di difesa nazionale e di ordine e sicurezza pubblica di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza";
d) ha disposto all’art. 10 che l’Autorità nazionale anticorruzione, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore, adotti le linee guida per definire le procedure e la gestione delle segnalazioni, con l'obiettivo di garantire la riservatezza del segnalante, della persona coinvolta o menzionata nella segnalazione e del contenuto delle segnalazioni stesse;
e) ha stabilito all’art. 24 che le disposizioni del decreto legislativo acquistano efficacia a decorrere dal 15 luglio 2023.
1.2. Tanto premesso, il Ministero dell’interno e il Ministero della difesa hanno evidenziato che dall'applicazione della nuova disciplina in materia di c.d. whistleblowing potrebbero derivare delle antinomie giuridiche suscettibili di determinare un disallineamento con gli ordinamenti vigenti delle singole Forze armate e di polizia (ad ordinamento civile e militare), laddove non si raggiunga un punto di equilibrio tra la nuova disciplina di matrice europea e le esigenze connesse alla particolarità dei compiti, dei doveri e delle funzioni derivanti dal rapporto di impiego del relativo personale.
1.3. Entrambi i Ministeri hanno rammentato che il personale delle Forze armate e di polizia è assoggettato ad una normativa specifica che implica l'attenuazione di alcune “libertà fondamentali (…) in ambito politico e sindacale” (Corte costituzionale n. 120 del 2018), nonché l’assoggettamento ad una serie di doveri che configurano uno status del tutto originale e non comparabile con quello del restante personale della P.A., al fine di garantire l’assolvimento dei loro compiti.
In tal senso, la pariteticità funzionale tra Forze di polizia a ordinamento civile e a ordinamento militare si riverbera negli assetti organizzativi dei suddetti corpi, nei quali sono presenti analoghe norme di coesione interna e disciplina, compreso uno speciale statuto penale.
In capo agli appartenenti alle Forze di polizia a ordinamento civile e militare sono configurabili analoghi obblighi, in quanto tali soggetti sono tenuti:
a) al rispetto delle relazioni gerarchiche, di cui agli artt. 715, 748, comma 5, lett. b), del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (t.u.o.m.), per l'Arma dei carabinieri e il Corpo della Guardia di finanza, di cui agli artt. 4 e 9 del d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782 per la Polizia di Stato, di cui agli artt. 7 e 9 del d.P.R. 15 febbraio 1999, n. 82 per la Polizia penitenziaria;
b) al dovere di obbedienza, condizionato dalla legalità e dalla legittimità dell'ordine, ai sensi degli artt. 1349 del d. lgs. n. 66 del 2010 (codice dell’ordinamento militare, c.m.), 729 del d.P.R. n. 90 del 2010, 66, della legge n. 121 del 1981 e 10 della legge n. 395 del 1990.
1.4. Entrambi i Ministeri hanno enucleato, a titolo meramente esemplificativo, una serie di fattispecie emblematiche delle antinomie giuridiche che potrebbero prodursi dall’interazione tra le disposizioni del d.lgs. n. 24 del 2023 e le disposizioni normative nazionali che disciplinano il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate ad ordinamento militare o civile, nonché le ricadute che potrebbero discendere dall’attribuzione del ruolo di whistleblower ad un soggetto appartenente a tali categorie, con l’elevato rischio di compromettere la funzionalità stessa dell'Amministrazione di appartenenza, potenzialmente costretta a dover giustificare ogni successivo atto di gestione del suddetto personale, se non addirittura ad astenersi dall'adottare eventuali provvedimenti organizzativi, gestionali, disciplinari, cautelari.
Premesso che la qualifica di wistleblower non ha limiti temporali predeterminati permanendo sino all’eventuale accertamento dei reati di calunnia o diffamazione – il che implica la presunzione per cui tutti gli atti gestionali relativi al denunciante siano atti ritorsivi e che abbiano determinato un danno, comportando l’inversione dell’onere della prova a carico dell’amministrazione - i Ministeri riferenti hanno segnalato le possibili problematiche, anche di livello costituzionale (art. 109 Cost.), conseguenti al riconoscimento della qualifica di wistleblower all’appartenente alle Forze di polizia a ordinamento civile o militare non solo in relazione alle specifiche normative di settore, ma anche all’espletamento delle funzioni di polizia giudiziaria laddove l’ufficiale o l’agente denunci fatti riguardanti l’integrità della propria amministrazione:
- con riguardo all’opportunità di farlo permanere tra coloro che svolgono attività investigativa;
- con riguardo alla violazione del segreto istruttorio (artt. 319 e 347 c.p.p.);
- con riguardo all’esercizio dei poteri dell’autorità giudiziaria in materia di assegnazione, direzione e coordinamento delle sezioni di polizia giudiziaria.
1.5. Tale alta probabilità di antinomie risiederebbe anche sull’assunto, pacifico nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, secondo cui l'ordinamento militare rappresenta un sistema conchiuso e autosufficiente di principi e di regole, tendenzialmente autoreferenziale e impermeabile a discipline esterne, cosicché, in linea di massima, al personale militare rimane estranea e non applicabile la disciplina posta per il personale civile (Corte cost. n. 98 del 2023; n. 33 del 2023; n. 270 del 2022; Cons. Stato, sez. I, n. 868 del 2023; sez. IV, n. 1462 del 2023; sez. II, n. 8150 del 2021 - proprio in materia di whistleblower-; sez. IV, n. 4332 del 2020; sez. IV, n. 3242 del 2020).
1.6. Analoghe considerazioni dovrebbero formularsi con riferimento all’ordinamento delle Forze di polizia a statuto civile, il cui ordinamento diverge sensibilmente da quello del restante pubblico impiego.
1.7. Alla luce delle suddette premesse, sommariamente riassunte, i Ministeri dell’interno e della difesa hanno, pertanto, chiesto a questo Consiglio di voler chiarire in relazione ai comparti sicurezza e Forze armate:
a) “se le antinomie giuridiche illustrate possano risolversi attraverso un'interpretazione sistematica dell'art. 1, comma 4 - laddove esso lascia ferma "l'applicazione delle disposizioni di in materia di ordine e sicurezza pubblica di cui al regio decreto, 18 giugno 1931, n.773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza" - volta a far prevalere l'applicazione delle norme degli specifici ordinamenti delle Forze armate e di polizia disciplinanti le relazioni gerarchiche ed i doveri di obbedienza del relativo personale”;
b) “nel caso in cui si ritenga preferibile un'interpretazione strettamente letterale della citata disposizione, se occorra procedere all'individuazione di eventuali correttivi, utili a ridefinire l'esatto perimetro della norma, al fine di superare le antinomie giuridiche evidenziate, anche prevedendo eventualmente specifiche esclusioni dall'ambito applicativo del decreto legislativo in argomento per il personale delle Forze di Polizia”.
2. Con parere interlocutorio n. 1085 del 4 agosto 2023, reso nell’affare n. 723/2023, la Sezione, avvalendosi del disposto dell’art. 58 del regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato (di cui al r.d. n. 444 del 1942), ha ritenuto opportuno acquisire le osservazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, segnatamente, del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (D.a.g.l.) della Presidenza medesima, sia per segnalare una possibile antinomia giuridica, sia in funzione istruttoria “in considerazione della complessità della materia, della sua trasversalità, nonché delle implicazioni e delle ricadute che ogni scelta interpretativa, sposata da questo Consiglio, potrebbe avere sull’ordinamento nazionale e, in particolare, sulle disposizioni che disciplinano il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate (e, quindi, ad esempio anche il Corpo della Polizia penitenziaria e quello della Guardia di finanza, sebbene allo stato attuale il Ministero della giustizia e il Ministero dell’economia e delle finanze non abbiano chiesto analogo parere, ma il cui avviso sarà acquisito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri)”.
2.1. Alla luce delle predette considerazioni questo Consiglio ha, pertanto, segnalato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la questione interpretativa sottoposta al suo esame al fine di acquisirne l’avviso, previa eventuale interlocuzione anche con i Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, prima di adottare il parere di competenza, “in un’ottica di massima collaborazione per garantire la qualità della normazione ed evitare o, quanto meno, circoscrivere le disposizioni che si rilevano di difficile interpretazione o applicazione e che possono, come nel caso di specie, essere foriere di incertezza e di molteplici controversie”.
3. Con nota DAGL 0008908 - P del 29 settembre 2023 il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi ha comunicato di avere interpellato gli Uffici legislativi dei Ministeri della giustizia, dell’economia e delle finanze, per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e per il PNRR e della pubblica amministrazione, provvedendo a trasmettere i relativi pareri, ed ha rappresentato la propria posizione in relazione al quesito sottoposto a questo Consiglio.
3.1. Ad avviso del D.a.g.l., il d.lgs. n. 24 del 2023 che traspone la direttiva (UE) 2019/1937 contiene:
- ipotesi di esclusioni tassative e ristrette dal proprio ambito di applicazione, consentendo di eccettuare le segnalazioni che attengono specificamente alla sicurezza nazionale, come recita l’art. 1, comma 2, lettera c);
- ipotesi, connotate da indubbia specificità, quali quelle inerenti la materia della sicurezza pubblica, che non comportano “estensione in via generale e assoluta dei confini dell’esenzione dalla applicabilità della disciplina in oggetto”, come ricavabile anche dalla clausola di non regressione di cui all’art. 25 della direttiva, in forza della quale “l’attuazione della direttiva non può in alcun caso costituire motivo di riduzione del livello di protezione già offerto dagli Stati membri nei settori in cui si applica”.
Al fine di tenere conto della peculiare specificità degli ordinamenti delle Forze di polizia e delle Forze armate, nonché delle esigenze connesse alla particolarità dei compiti, dei doveri e delle funzioni derivanti dal rapporto di impiego del suddetto personale, il D.a.g.l. individua, avuto riguardo all’intero testo normativo e agli atti amministrativi applicativi (linee guida e circolari), taluni strumenti idonei a costituire un apprezzabile livello di salvaguardia delle rammentate esigenze, mettendo in rilievo i seguenti aspetti:
1) l’esclusione dall’applicazione della nuova disciplina per le “contestazioni, rivendicazioni o richieste di carattere personale che attengono esclusivamente ai rapporti individuali di lavoro ovvero ai rapporti con le figure gerarchicamente sovraordinate o con i colleghi” (art.1, comma 2, lettera a);
2) il carattere residuale della segnalazione all’ANAC, come disciplinata dall’art. 6, quale extrema ratio a fronte della manifesta volontà dell’amministrazione di ostacolare il segnalante;
3) la prevalenza e la preferenza, accordata dal legislatore, al ricorso a canali interni di segnalazione che lascia impregiudicata la possibilità di passare attraverso la gerarchia interna prima della segnalazione all’ANAC, come dimostra anche la mancata abrogazione dell’art. 8 del d.P.R. n. 62 del 2013 (“Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici”), ai sensi del quale il segnalante “fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’amministrazione di cui sia venuto a conoscenza”;
4) la possibilità di individuare nel momento applicativo e mediante lo strumento interpretativo la soluzione più idonea a evitare un uso distorto, strumentale e paralizzante della normativa in questione, come ad esempio in relazione al divieto di “mutamento di funzioni”, di “cambiamento del luogo di lavoro”, di “richiesta di sottoposizione ad accertamenti medici o psichiatrici”, previsti dall’art. 17 del citato d.lgs.;
5) il potere riconosciuto a ciascuna amministrazione di assicurare al suo interno, tramite appositi atti di indirizzo e circolari, un’applicazione della normativa rispettosa della ratio della stessa e al contempo delle peculiarità della propria struttura.
3.2. Il D.a.g.l. ha, infine, segnalato che il 27 gennaio 2022 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione a carico dello Stato italiano per mancata comunicazione delle misure di attuazione, ai sensi dell’art. 258 TFUE, e che la detta procedura è stata attualmente sospesa, a seguito della pubblicazione del d.lgs. n. 24 del 2023, per valutarne l’effettiva aderenza alle previsioni della direttiva (UE) 2019/1937.
4. Gli Uffici legislativi dei Ministeri interpellati dal D.a.g.l. hanno rispettivamente osservato quanto segue:
1) il Ministero per gli affari europei, il sud, le politiche di coesione e il PNRR ha ritenuto che l’esistenza della clausola “di non regressione” nella direttiva attuata, unitamente all’esistenza nell’ordinamento italiano dell’art. 54 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, contenente una specifica disciplina del whistleblowing, applicabile al personale delle Forze armate e delle Forze di polizia, non consentirebbe di addivenire ad un’interpretazione del d.lgs. n. 24 del 2023 che ne restringa l’ambito di applicazione soggettivo;
2) il Ministero dell’economia e finanze - Comando generale della Guardia di finanza ha ritenuto del tutto condivisibile la ricostruzione operata dai due Ministeri richiedenti evidenziando le difficoltà interpretative delle disposizioni di salvaguardia contenute nell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 24 del 2023 correlate al richiamo generico agli ambiti della “difesa nazionale” e dell’“ordine e sicurezza pubblica”, ancorando tale ultimo concetto al t.u.l.p.s. e traendone l’auspicio che dal parere possano emergere parametri ermeneutici idonei a circoscrivere, in via interpretativa, la portata applicativa dell’istituto ovvero a delineare, ove necessario, gli eventuali margini di intervento sul piano normativo;
3) il Ministero della giustizia ha valorizzato l’art. 16 del d.lgs. n. 24 del 2023 concernente le condizioni per la protezione del segnalante quale strumento idoneo a mitigare il rischio di uso strumentalizzato o distorto delle segnalazioni, nonché gli artt. 6 e 4, in materia di segnalazioni, per addivenire ad un’interpretazione della normativa compatibile con l’obbligo per il personale delle forze armate a ordinamento militare e a ordinamento civile di rispettare la scala gerarchica.
5. La Sezione ritiene di poter trattare congiuntamente i due affari in considerazione della identità dei quesiti sottoposti a questo Consiglio e della sostanziale identità delle problematiche interpretative ad essi sottese.
6. Il presente parere si concentra sull’interpretazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 24 del 2023, rubricato “Ambito di applicazione oggettivo”, che al comma 4 prevede che “Resta altresì ferma l'applicazione delle disposizioni di procedura penale, di quelle in materia di autonomia e indipendenza della magistratura, delle disposizioni sulle funzioni e attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura, comprese le relative procedure, per tutto quanto attiene alla posizione giuridica degli appartenenti all'ordine giudiziario, oltre che in materia di difesa nazionale e di ordine e sicurezza pubblica di cui al regio decreto, 18 giugno 1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.”.
Infatti, il quesito sottoposto a questo Consiglio attiene al rapporto tra le disposizioni sul cd. “whistleblowing” e le norme degli specifici ordinamenti delle Forze armate e di polizia disciplinanti le relazioni gerarchiche ed i doveri di obbedienza del relativo personale.
6.1. In quanto il d.lgs. n. 24 del 2023 traspone nell’ordinamento nazionale la direttiva (UE) 2019/1937 occorre, in primo luogo, richiamare le disposizioni che disciplinano la ripartizione delle competenze tra Unione europea e ordinamenti nazionali in materia di difesa, di ordine e sicurezza pubblica.
7. Occorre, innanzitutto, distinguere la difesa dell’Unione dalla difesa nazionale e quest’ultima dall’ordine e sicurezza nazionale.
7.1. La politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) è, infatti, parte integrante della politica estera e di sicurezza comune dell'UE (PESC).
La PSDC costituisce il principale strumento politico mediante il quale gli Stati membri possono sviluppare una cultura strategica europea della sicurezza e della difesa, affrontare insieme i conflitti e le crisi, proteggere l'Unione e i suoi cittadini e rafforzare la pace e la sicurezza internazionali.
La PSDC è descritta nel trattato sull'Unione europea (TUE), entrato in vigore nel 2009.
Il funzionamento della PSDC è illustrato nel titolo V “Disposizioni generali sull'azione esterna dell'Unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune”, capo 2 “Disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune”, sezione 2 “Disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune” del trattato di Lisbona.
7.2. Nella parte intergovernativa della politica estera e di sicurezza, cioè la PESC, la separazione verticale dei poteri salvaguarda espressamente le responsabilità e i poteri degli Stati membri nella formulazione e nella condotta delle loro politiche estere, di sicurezza e di difesa, nonché della loro rappresentanza nazionale nell’ambito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Dichiarazioni 13 e 14 allegate all’Atto finale del Trattato di Lisbona).
7.3. Tanto premesso, dalla lettura del combinato disposto degli articoli 3, 4, e 5 del Trattato sull’Unione europea (TUE) discende che “la salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale” esula dalle competenze dell’Unione, restando per l’appunto la sicurezza nazionale di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.
E, infatti, premesso che “L’Unione persegue i suoi obiettivi con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati.” (art. 3, comma 6), la delimitazione delle sue competenze “si fonda sul principio di attribuzione” e il loro esercizio “sui principi di sussidiarietà e proporzionalità” (art. 5, comma 1). Ne consegue che, in virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce “esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti” e che “qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri” (art. 5, comma 2).
Nella materia specifica della sicurezza nazionale l’Unione “Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale” e la “sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.” (art. 4, comma 2).
7.4. Dal quadro normativo su delineato emerge, quindi, che a fronte di un più avanzato livello di integrazione registrato nell’Unione europea a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, nel settore della politica estera e sicurezza comune gli Stati membri hanno conservato un metodo decisionale eminentemente intergovernativo, nel cui ambito gli atti adottati dalle istituzioni sono di regola sottratti al controllo giurisdizionale.
E, infatti, l’articolo 275, paragrafo 1, TFUE, nel sancire l’incompetenza della Corte di giustizia non si limita a fare riferimento alle disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, ma richiama altresì gli atti adottati in base a dette disposizioni. Va, però, evidenziato che la Corte ha affermato in più sentenze che il complesso apparato di rimedi giurisdizionali “si estende al controllo della legittimità delle decisioni che prevedono l’adozione delle misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche nell’ambito della PESC” e che il principio della tutela giurisdizionale effettiva implica che l’esclusione della competenza della Corte in materia di PESC vada interpretata restrittivamente (Corte di giustizia UE, grande sezione, 28 marzo 2017, C-72/15, Rosneft).
8. La direttiva (UE) 2019/1937 mira a tutelare chi, lavorando per un’organizzazione pubblica o privata o essendo in contatto con essa nello svolgimento della propria attività professionale, segnali violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse svolgendo “un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società”. Siccome “i potenziali informatori sono spesso poco inclini a segnalare inquietudini e sospetti nel timore di ritorsioni” il legislatore europeo ha ritenuto “di garantire una protezione equilibrata ed efficace degli informatori (…) riconosciuta a livello sia unionale che internazionale” (considerando 1 della direttiva).
8.1. In piena conformità con i richiamati artt. 3, 4 e 5 del TUE, il considerando 24 statuisce espressamente che “La sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. La presente direttiva non dovrebbe applicarsi alle segnalazioni di violazioni riguardanti appalti in materia di difesa o di sicurezza, qualora tali materie rientrino nell’articolo 346 TFUE, in conformità della giurisprudenza della Corte. Se gli Stati membri decidono di estendere la protezione prevista dalla presente direttiva ad altri settori o ad altri atti che non rientrano nel suo ambito di applicazione materiale, essi dovrebbero poter adottare disposizioni specifiche per tutelare gli interessi essenziali della sicurezza nazionale a tale riguardo.”.
Il predetto considerando trova conferma nel comma 2 dell’art. 3, rubricato “Relazione con altri atti dell’Unione e con le disposizioni nazionali”, ai sensi del quale “La presente direttiva non pregiudica la responsabilità degli Stati membri di garantire la sicurezza nazionale né il loro potere di tutelare i propri interessi essenziali di sicurezza. In particolare, non si applica alle segnalazioni di violazioni delle norme in materia di appalti concernenti aspetti di difesa o di sicurezza, a meno che tali aspetti non rientrino negli atti pertinenti dell’Unione”.
9. Ritiene questo Consiglio che la certezza che l’applicazione della direttiva in questione non può pregiudicare “la responsabilità degli Stati membri di garantire la sicurezza nazionale né il loro potere di tutelare i propri interessi essenziali di sicurezza”, deve fungere da criterio guida per comprendere quale sia l’ambito di applicazione oggettivo del d.lgs. n. 24 del 2023 e se lo stesso, in quanto atto di trasposizione della normativa unionale, possa incidere - e, in caso positivo, entro quali limiti - su materie rientranti nella competenza esclusiva nazionale.
9.1. Per interpretare l’art. 1 del d.lgs. n. 24 del 2023 è necessario partire dalle definizioni che si rinvengono nell’ordinamento italiano di “sicurezza nazionale”, di “difesa nazionale”, di “ordine e sicurezza pubblica”, in quanto la citata disposizione al comma 2 statuisce che “Le disposizioni del presente decreto non si applicano: (…) c) alle segnalazioni di violazioni in materia di sicurezza nazionale, nonché di appalti relativi ad aspetti di difesa o di sicurezza nazionale” e al comma 4 prevede che “Resta altresì ferma l'applicazione delle disposizioni (…) in materia di difesa nazionale e di ordine e sicurezza pubblica di cui al regio decreto, 18 giugno 1931, n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.
10. La definizione di “difesa e sicurezza militare” si rinviene nell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010 (“Codice dell'ordinamento militare”), ai sensi del quale “Il presente decreto, con la denominazione di codice dell'ordinamento militare, e le altre disposizioni da esso espressamente richiamate, disciplinano l'organizzazione, le funzioni e l'attività della difesa e sicurezza militare e delle Forze armate”.
Tale delimitazione si affianca in modo coerente alle altre disposizioni di riferimento – artt. 20, comma 1, d.lgs. n. 300 del 1999, 1, l. n. 25 del 1997, 1, l. n. 331 del 2000 – dando vita ad un quadro normativo omogeneo in relazione alla politica e organizzazione militare nonché alla organizzazione e funzionamento dell’Amministrazione della difesa in genere e delle Forze armate in particolare.
10.1. Al riguardo merita di essere rammentato che alle espressioni “difesa militare”, “difesa nazionale”, “sicurezza nazionale”, “sicurezza militare” è attribuito a volte lo stesso significato, come affermato anche in alcune pronunce della Corte costituzionale (Corte cost. n. 216 del 1985), ovvero che le stesse sono utilizzate come endiadi, ad esempio nel “Regolamento recante individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale” di cui al d.P.C.m. n. 253 del 2012, il cui art. 1 stabilisce che “le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, ivi comprese le attività strategiche chiave, sono individuate nello studio, la ricerca, la progettazione, lo sviluppo, la produzione, l'integrazione e il sostegno al ciclo di vita, ivi compresa la catena logistica, dei sistemi e materiali” di seguito elencati.
Nella medesima direzione si colloca la recente novella all’art. 233 c.m. – recata dall’art. 21, comma 1, lett. a), d.l. 19 settembre 2023, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 novembre 2023, n. 162 - a seguito della quale, inter alia, è stata modificata la rubrica del medesimo articolo, recante ora “Individuazione delle opere destinate alla difesa e alla sicurezza nazionale a fini determinati”.
10.2. La “sicurezza nazionale” ha però un significato più ampio della sola difesa militare.
Nel “Glossario intelligence” della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2019 – in armonia con i principi e le disposizioni sanciti dalla legge 3 agosto 2007, n. 124 (“Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”) - la sicurezza nazionale è definita come la “condizione in cui ad un paese risultino garantite piene possibilità di sviluppo pacifico attraverso la salvaguardia dell’intangibilità delle sue componenti costitutive, dei suoi valori e della sua capacità di perseguire i propri interessi fondamentali a cospetto di fenomeni, condotte ed eventi lesivi o potenzialmente tali”.
Si tratta, quindi, di una definizione riconducibile ad un genus più ampio della difesa e sicurezza militare, vale a dire quello della politica di difesa che, a sua volta, viene collocata nell’ambito ancora più ampio della politica di sicurezza dello Stato (cfr. Corte cost., n. 106 del 2009; direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 marzo 2007 - Attuazione, monitoraggio e valutazione del programma di Governo – Linee guida del Comitato tecnico – scientifico per il controllo strategico nelle Amministrazioni dello Stato – parr. 5.1. e 5.2., in G.U. s.g. 19 luglio 2007, n. 166, suppl. ord. n. 163).
10.3. Tanto premesso, dall’esame del codice dell’ordinamento militare si evince che non integrano il concetto di difesa militare le materie attinenti:
a) alla difesa civile dello Stato di cui al d.lgs. n. 40 del 2017, in quanto - come affermato in molteplici sentenze della Corte costituzionale - “il dovere di difesa della Patria non si risolve soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna, ma può comprendere anche attività di impegno sociale non armato. Accanto alla difesa militare, che è solo una delle forme di difesa della Patria, può dunque ben collocarsi un’altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale (sentenza n. 228 del 2004). In coerenza con tale evoluzione, questa Corte ha già richiamato la necessità di una lettura dell’art. 52 Cost. alla luce dei doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. (sentenza n. 309 del 2013).” (Corte cost. n. 164 del 1985; Corte cost. n. 58 del 2007; Corte cost. n. 119 del 2015);
b) alla difesa interna e all’ordine pubblico, facenti capo al Ministero dell’interno (art. 14 del d.lgs. n. 300/1999; art. 1 della legge 1 aprile 1981 n. 121; artt. 1 e 214 - 219 t.u.l.p.s.).
10.4. In particolare i concetti di “ordine pubblico” e “sicurezza pubblica” sono utilizzati come un’endiadi e come tali sono stati introdotti anche nel testo della Costituzione, a seguito della riforma approvata con legge costituzionale n. 3 del 2001. La loro considerazione unitaria è confermata nelle scelte del legislatore non solo costituzionale ma anche ordinario, che richiama ripetutamente le due locuzioni in maniera congiunta.
10.5. Una definizione dell’ “ordine pubblico” si riviene nell’art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998, ai sensi del quale “le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all’ordine pubblico e sicurezza pubblica (…) concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni”.
10.6. La Corte costituzionale, a sua volta, in molteplici pronunce ha definito la sicurezza pubblica come la “funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico” (Corte cost. n. 77 del 1987).
E sempre la Corte costituzionale – chiamata a pronunciarsi sulla differenza tra i compiti di polizia amministrativa e quelli di polizia di sicurezza – ha stabilito che la polizia di sicurezza ricomprende “le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, da intendersi quale complesso dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari sui quali si fonda l’ordinata convivenza civile dei consociati” e la polizia amministrativa ricomprende “le misure preventive e repressive dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono derivare alle persone e alle cose nello svolgimento di attività riconducibili alle materie sulle quali vengono esercitate competenze statali o regionali, senza che ne risultino pregiudicati o messi in pericolo gli interessi tutelati in nome dell’ordine pubblico” (Corte cost. n. 115 del 1995).
10.7. A tale riguardo deve, inoltre, essere evidenziato che, sebbene il regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 non contenga la definizione di ordine e sicurezza pubblica, quanto piuttosto definisca i compiti e le funzioni dell’autorità di pubblica sicurezza (art. 1 “L'autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell'ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà; cura l'osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle provincie e dei comuni, nonché delle ordinanze delle Autorità; presta soccorso nel caso di pubblici e privati infortuni”), lo stesso continua a restare la legge di riferimento, unitamente al relativo regolamento di esecuzione di cui al r.d. n. 635 del 1940, e alla legge n. 121 del 1981, per la disciplina dei detti ambiti.
10.8. Pertanto, alla luce dell’ excursus che precede, i concetti di difesa civile dello Stato e di ordine e sicurezza pubblica appaiono, a questo Consiglio, riconducibili alla definizione di “sicurezza nazionale” intesa quale “condizione in cui ad un paese risultino garantite piene possibilità di sviluppo pacifico attraverso la salvaguardia dell’intangibilità delle sue componenti costitutive, dei suoi valori e della sua capacità di perseguire i propri interessi fondamentali”.
11. Ne discende, pertanto, che l’art. 1, rubricato “ambito di applicazione”, del citato d.lgs. n. 24 del 2023 deve essere interpretato, nella sua interezza, alla luce delle suddette considerazioni e che, conseguentemente, anche le disposizioni del comma 4, del medesimo articolo rientrano tra quelle in relazione alle quali l’applicazione della direttiva in questione non può pregiudicare “la responsabilità degli Stati membri di garantire la sicurezza nazionale né il loro potere di tutelare i propri interessi essenziali di sicurezza” (art. 3, comma 2, della direttiva UE 1937/2029).
12. Corollario logico della predetta interpretazione è la salvaguardia, per il personale militare e delle Forze di polizia (ad ordinamento militare e civile), delle rispettive normative di settore, che non possono ritenersi incise e considerarsi recessive rispetto alle disposizioni in materia di whistleblowing, essendo la loro applicazione esclusiva funzionale alla tutela della “difesa nazionale e di ordine e sicurezza pubblica” che fanno parte del più ampio genus della “sicurezza nazionale”.
12.1. Tale conclusione è coerente anche con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (Corte cost. n. 270 del 2022; n. 120 del 2018; n. 231 del 2009) e di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, n. 7224 del 2018; sez. IV, n. 1347 del 2013; sez. IV n. 607 del 2013) secondo la quale la regola generale è che, salvo che la legge non disponga diversamente, ogni Forza di polizia o armata è tributaria di una autonoma disciplina giuridica (ed economica) non comparabile con lo statuto del personale pubblico in genere.
In particolare la Corte costituzionale ha affermato che “(…) ogni eventuale disparità di trattamento tra militari e civili va ovviamente valutata alla luce della peculiare posizione del cittadino che entra (attualmente per propria scelta) nell’ordinamento militare, caratterizzato da specifiche regole ed esigenze (…)” (Corte cost. n. 215 del 2017); da ciò discende l’ulteriore rilievo in forza del quale “(…) l’ordinamento militare è connotato da un peculiare carattere di specialità e autosufficienza rispetto all’ordinamento generale, manifestata, tra l’altro, dalla circostanza che la fonte della sua disciplina – il D.Lgs. n. 66 del 2010 - è denominata “codice dell’ordinamento militare”. Con il lemma “codice”, si va ad indicare, difatti, un sistema conchiuso e autosufficiente di principi e di regole, tendenzialmente autoreferenziale e impermeabile a discipline esterne, cosicché, in linea di massima, al personale militare rimane estranea e non applicabile la disciplina posta per il personale civile” (Cons. Stato, sez. II, n. 8150 del 2021; sez. IV, n. 3242 del 2020; sez. IV, n. 1489 del 2020).
12.2. Merita, inoltre, di essere evidenziato che la prevalenza e la preferenza, accordata dal legislatore in sede di attuazione della direttiva (UE) 1937/2019, al ricorso a canali interni di segnalazione, lasciando impregiudicata la possibilità di passare attraverso la gerarchia interna, a fronte di ordinamenti connotati da carattere di specialità e autosufficienza rispetto a quello generale, quali quelli del personale militare e delle Forze polizia di Stato, si traduce, per una questione di coerenza del sistema, nell’applicazione dei principi e delle regole loro propri.
12.3. Né, infine, è rilevante, ai fini di una diversa interpretazione delle disposizioni in questione, la circostanza che l’art. 3 del d.lgs. n. 24 del 2023, rubricato “Ambito di applicazione soggettivo”, al comma 3, lettera a) includa tra i soggetti cui si applicano le sue disposizioni “i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi compresi i dipendenti di cui all'articolo 3 del medesimo decreto”, nel quale rientra anche “il personale militare e delle Forze di polizia di Stato”.
Come affermato dalla Corte costituzionale, “la violazione del principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili” (Corte cost. n. 165 del 2020), sicché, in relazione alle disposizioni del d.lgs. n. 24 del 2023, la diversità di disciplina è giustificata dalle funzioni e dai compiti, svolti da detto personale in costanza di servizio, per la tutela della “difesa nazionale e di ordine e sicurezza pubblica”.
Le funzioni e i compiti che hanno come obiettivo la difesa militare della Patria e il mantenimento dell’ordine pubblico - inteso nel senso sopra divisato come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché della sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni – rappresentano il proprium quid dell’attività prestata dal personale militare e delle forze di polizia in costanza di servizio: rimane quindi estremamente complesso e con alta probabilità foriero di applicazioni contraddittorie e incerte operare distinzioni, all’interno di siffatta attività, tali da consentire di ritenere che residui uno spazio applicativo, sotto il profilo meramente soggettivo, della disciplina di cui al decreto n. 24 del 2023 (ex art. 3, commi 1 e 3, lett. a) e b).
Che tale impostazione sia quella preferibile - alla stregua del tenore testuale delle norme nonché della loro esegesi sistematica e teleologica - pare evidente ponendo mente al personale appartenente ai Servizi di informazione: si arriverebbe a ritenere applicabile, in linea generale, la disciplina del decreto n. 24 anche a tale categoria di personale, salvo individuare, ma senza alcun parametro di riferimento, quali segnalazioni di violazioni non incidano sulla “sicurezza nazionale” (ex art. 1, comma 2, lett. c), e quali segnalazioni di violazioni rimangano disciplinate dalle disposizioni nazionali in materia di “informazioni classificate” (ex art. 1, comma 3, lett. c).
13. Questo Consiglio ritiene, infine, che la suddetta interpretazione del combinato disposto degli artt. 1 e 3 del d.lgs. n. 24 del 2023 sia compatibile anche con la cd. clausola di non regressione, prevista dall’art. 25 del medesimo decreto, rubricato “Trattamento più favorevole e clausola di non regressione”, il cui, comma 2, stabilisce che “L’attuazione della presente direttiva non può in alcun caso costituire motivo di riduzione del livello di protezione già offerto dagli Stati membri nei settori cui si applica la presente direttiva”.
13.1. Al riguardo occorre, in primo luogo, evidenziare che la “clausola di non regressione” opera solo “nei settori cui si applica la presente direttiva” e che per tutte le considerazioni esposte non vi rientrano “la sicurezza nazionale”, “la difesa nazionale”, nonché l’“ordine e la sicurezza pubblica”.
13.2. In ogni caso, anche sotto la vigenza della precedente normativa, vale a dire dell’art. 54 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, la giurisprudenza di questo Consiglio, laddove è stata invocata la citata disposizione ha costantemente evidenziato che la peculiarità del rapporto di servizio del personale militare è tale da rendere impossibile un confronto su basi omogenee fra lo statuto del predetto personale e quello civile. Partendo da tale assunto, questo Consiglio ha ritenuto che il trasferimento di un militare, intervenuto in conseguenza di segnalazioni, non violi la disciplina in materia di c.d. whistleblowing nel caso in cui le stesse appaiono motivate non tanto dall’esigenza di una mera e lata volontà di concorrere a perseguire l’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, quanto, piuttosto, da un interesse personale e, comunque, strettamente connesso a rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori (Cons. Stato, sez. II, n. 8150 del 2020; sez. VI, n. 28 del 2020).
13.3. Peraltro, già in occasione del parere reso da questo Consiglio sulle “Linee Guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 54-bis, d.lgs. n. 165 del 2001 (c.d. whistleblowing)” è stato affermato che occorre “una puntuale perimetrazione dell’ambito applicativo in modo da evitare che la nuova disciplina possa essere strumentalmente utilizzata per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Di questo aspetto si è occupato lo stesso Consiglio di Stato quando ha annotato che la disciplina di cui all’art. 54-bis, d.lgs. n. 165 del 2001 si pone «in rapporto di eccezione rispetto al principio generale di accessibilità nei casi in cui sussista un interesse giuridicamente rilevante. Tale eccezionalità è suffragata anche dalla lettura della disposizione stessa, che collega la sua applicabilità a una serie di presupposti molto stringenti (in particolare, l'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione e i soggetti tassativamente indicati come destinatari della segnalazione). Ne deriva che l’istituto, secondo le regole delle norme eccezionali, non possa essere applicato “oltre i casi e i tempi in esse considerati”, secondo la regola di cui all’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale». (Cons. Stato, sez. I, n. 615 del 2020).
13.4. Ad ulteriore supporto dell’interpretazione restrittiva del citato art. 54 bis, in quanto norma derogatoria rispetto agli ordinamenti generali dei lavoratori del pubblico impiego privatizzato, merita di essere riportato il principio di diritto affermato in una recente pronuncia della Corte di cassazione, secondo cui “In tema di pubblico impiego privatizzato, la normativa di tutela del dipendente che segnala condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro lo salvaguarda da reazioni ritorsive dirette e indirette provocate dalla sua denuncia e dall'applicazione di sanzioni disciplinari ad essa conseguenti, ma non istituisce un'esimente generalizzata per tutte le violazioni disciplinari che egli, da solo o in concorso con altri, abbia commesso, al più potendosi valorizzare, ai fini della scelta della sanzione da irrogare, il suo ravvedimento operoso e l'attività collaborativa svolta nella fase di accertamento dei fatti.” (Cass. civ., sez. lavoro, n. 9148 del 2023).
13.5. In conclusione anche l’esame della prassi formatasi sotto la vigenza del più volte menzionato art. 54 bis, evidenzia che la disciplina ivi prevista non è stata, in concreto, applicata al personale militare, sicché, anche volendo orientare l’indagine su un piano eminentemente sostanziale, secondo la logica che caratterizza il diritto europeo, non si apprezza un fenomeno di regressione delle tutele.
14. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni la Sezione ritiene di rispondere ai quesiti proposti nel senso che - allo stato della normativa vigente e ferma comunque restando la facoltà del legislatore nazionale, da un lato, di migliorare la qualità della regolazione, e dall’altro, di definire in termini maggiormente articolati il punto di equilibrio nel contemperamento fra i potenzialmente confliggenti valori ed interessi in gioco -:
a) l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 24 del 2023 rientra tra gli ambiti nei quali l’applicazione della direttiva (UE) 1937/2019 non può pregiudicare “la responsabilità degli Stati membri di garantire la sicurezza nazionale né il loro potere di tutelare i propri interessi essenziali di sicurezza” (art. 3, comma 2, della direttiva UE 1937/2029);
b) per il personale militare e delle Forze di polizia è salvaguardata l’applicazione delle corrispondenti normative di settore che, rispetto alle disposizioni in materia di whistleblowing, non possono ritenersi recessive o comunque derogate, in quanto funzionali alla tutela della “difesa nazionale” e “dell’ordine e sicurezza pubblica” che fanno parte del più ampio genus della “sicurezza nazionale”.
P.Q.M.
Nei suesposti termini è il parere.