
Avvero tale decisone i contribuenti proponevano ricorso...
Svolgimento del processo
1. L'Agenzia delle entrate-Direzione provinciale di Bergamo, con avviso di liquidazione emesso nei confronti di MP e MC recuperava, ai sensi dell'art. 1, nota II-bis, punto 4, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, maggiore Iva, interessi e sanzioni, in revoca dell'agevolazione c.d. prima casa (Iva al 4%) fruita per l'acquisto, con atto per notar RB del 22 gennaio 2010, registrato in data 1.2.2010, di un bene immobile sito in X per il quale l'Amministrazione riteneva sussistere i requisiti di abitazione di lusso in base ai criteri del D.M. 2 agosto 1969 n. 1072, superando complessivamente i mq 240 di superficie utile.
2. Avverso il suddetto avviso, i contribuenti proponevano ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bergamo, deducendo l'erroneo computo come da perizia allegata- da parte dell'Ufficio nella superficie utile dell'immobile dell'autorimessa, del piano interrato e della soffitta; la CTP, con sentenza n. 146/08/2013, lo accoglieva ritenendo che, come si evinceva dalla relazione peritale prodotta dalla parte (avendo l'Ufficio espletato l'accertamento soltanto sulla base della disamina delle planimetrie catastali), il piano interrato dell'immobile non era direttamente collegato con la proprietà principale, ìl secondo piano era una soffitta e l'autorimessa rientrava nella categoria del posto-macchina, non essendo, pertanto, computabile nel calcolo della superficie utile.
3. Avverso la sentenza di primo grado, l'Agenzia delle entrate proponeva appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia che, con sentenza. 3522/64/2015, depositata in data 28 luglio 2015, lo accoglieva.
4. Avverso la suddetta sentenza, contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
5. Resiste, con controricorso, l'Agenzia delle entrate.
Motivi della decisione
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. L'art. 6 del D.M Lavori Pubblici 2/8/1969 definisce abitazione di lusso le singole unità immobiliari che hanno superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchina).
1.3. Si osserva in proposito come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, al fine di stabilire se un'abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dai benefici per l'acquisto della prima casa ai sensi dell'art. 1, Parte I, nota II bis della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, occorre fare riferimento alla nozione di «superficie utile complessiva», quale mera utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, considerandosi tutta la superficie dell'unità immobiliare ma con esclusione di balconi, terrazze, cantine, soffitte scale e posto auto, in quanto espressamente esclusi dalla disposizione richiamata (Cass. sez. 5, 20064 del 2022; Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30762; Cass., Sez. 5, 19 dicembre 2019, n. 33896; Cass., Sez. 5, 17 luglio 2019, n. 19186; Cass., Sez. 6-5, 26 marzo 2019, n. 8409; Cass., Sez. 5, 31 marzo 2017, n. 8421). Tale interpretazione riposa sulla lettura dell'art. 5 d.m. cit., che fa richiamo al concetto di superficie utile dell'«alloggio padronale», ossia «tutta quella che fa parte della "casa" (sia composta di "uno o più piani", purché costituenti "unico alloggio"), quindi dell'intero complesso costruttivo (con esclusione, ovviamente, di "balconi,... terrazze,... cantine,... soffitte,... scale e posto macchine"), quante volte sia "utile" a costituire ("costituenti") "unico alloggio padronale": l'utilità evocata dalla norma - nella quale manca qualsiasi riferimento, quand'anche indiretto od implicito, ma sempre inequivoco, alla "abitabilità" in senso giuridico - implica la idoneità, esclusivamente fattuale, di una determinata "superficie" chiusa da muri (perciò "case") a integrare un "alloggio padronale", ovverosia a consentire l'espletamento al suo interno di tutte le funzioni (di ogni genere) proprie della vita del "padrone" (non svolgendo l'aggettivo "padronale" una funzione pleonastica ma evidentemente qualificativa) dell'alloggio» (Cass., Sez. V, 28 giugno 2012, n. 10807; Cass. sez. 5, 20064 del 2022).
1.4. In definitiva, ciò che assume rilievo - in coerenza con l'apprezzamento dello stesso mercato immobiliare - è la marcata potenzialità abitativa del bene (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19186 del 17/07/2019; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25674 del 15/11/2013) e, più precisamente, l'idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana (Cass., Sez. 5, sentenza n. 23591 del 20/12/2012; Cass. sez.6- 5, n. 1537 del 2021).
1.5. Nella sentenza impugnata, la CTR - premesso che la nozione di utilizzabilità di una superficie era concetto che prescindeva dalla sua abitabilità - si è attenuta ai suddetti principi nell'osservare che 1) l'assunto riportato in perizia secondo cui il "piano interrato" avrebbe rappresentato una unità autonoma da accatastare separatamente contrastava con "il dato oggettivo delle planimetrie e dello stesso rogito notarile che descrivevano il tutto come un unico appartamento", trattandosi di due porzioni dell'immobile collegate attraverso una scala esterna ubicata all'interno dell'unica proprietà e all'esclusivo servizio dei contribuenti, tanto più che il distinto accatastamento non era dirimente, essendo possibile il contemporaneo utilizzo di più di una unità catastale come abitazione principale (è richiamata Cass. n. 25902 del 2008); 2) i locali in contestazione risultavano concretamente utilizzabili; in particolare, il piano interrato comprendeva, tra l'altro, "un locale pluriuso", un locale doccia e la lavanderia; il secondo piano comprendeva tre ripostigli, un disimpegno ed un guardaroba, locali, per loro natura, direttamente a servizio delle restanti parti dell'unità immobiliare e un'altezza inferiore a quella standard non appariva inficiarne la possibilità d'impiego; tali stanze dovevano essere computate al fine di determinare la superficie utile complessiva dell'immobile, contribuendo alla sua valorizzazione per cui l'estensione dell'abitazione superava 240 mq. Pertanto, il giudice di appello, al fine di stabilire se l'unità immobiliare in questione fosse di lusso, ha correttamente incluso nel calcolo della superficie utile complessiva: 1) sia il piano interrato, in quanto - in base ad un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede e nel rispetto dei principi sopra richiamati- non presentava, in sostanza, le caratteristiche di una cantina trattandosi di un locale pluriuso, con lavanderia e un locale doccia, collegato all'immobile attraverso una scala esterna ma ubicata all'interno dell'unica proprietà e al servizio esclusivo dei contribuenti, essendo, in base alle planimetrie catastali e al rogito notarile, descritto il tutto come "un unico appartamento"; 2) sia il secondo piano, in quanto - sempre in base ad una insindacabile valutazione di merito - non presentava in concreto le caratteristiche di una soffitta, comprendendo tre ripostigli, un disimpegno e un guardaroba, localì - per quanto aventi un'altezza inferiore a quella standard stimati essere, per loro natura "direttamente al servizio delle restanti parti dell'unità immobiliare". Pertanto, tali vani sono stati inclusi dal giudice di appello nel computo della superficie utile complessiva dell'immobile in ossequio ai principi sopra richiamati in quanto erano risultati "concretamente utilizzabili", contribuendo alla "valorizzazione" dello stesso.
1.6. Ad ogni buon conto va precisato che, sulla scorta dei principi sopra indicati è stato affermato da questa Corte come anche la cantina e la soffitta, con accesso dall'interno dell'abitazione ed essa indissolubilmente legati, siano computabili ai fini della superficie utile complessiva (cfr Cass. 18480/2016; Cass. sez. 6-5, n. 1537 del 2021).
1.7. Va anche ricordato che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica e, quindi, questi non possono essere riconosciuti nelle ipotesi in cui non siano espressamente previsti (Sez. 5, Sentenza n. 22279 del 26/10/2011; Cass. sez. 6-5, n. 1537 del 2021).
2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio per avere la CTR ritenuto legittimo l'avviso di accertamento, senza considerare, da un lato, il mancato espletamento da parte dell'Agenzia - diversamente da quanto affermato dal giudice di appello secondo cui l'Ufficio aveva sostenuto di avere effettuato misurazioni in loco - di alcun accesso presso l'unità immobiliare in oggetto (essendo state utilizzate come supporto grafico dell'accertamento soltanto le planimetrie catastali aventi una valenza meramente indiziaria) e, dall'altro, senza esaminare le perizie (di cui una giurata) prodotte dalle contribuenti.
2.1. Il motivo si profila inammissibile.
2.3.Va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 1° marzo 2021) concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015 Cass. n. 1451 del 2022). Costituisce, pertanto, un "fatto", agli effetti dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una "questione" o un "punto", ma un vero e proprio "fatto", in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n.7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133).
Non costituiscono, viceversa, "fatti", il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152 Sez. 6 - 1, Ord. n. 2268 del 26/01/2022); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il "vario insieme dei materiali di causa" (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439). Nella specie, i ricorrenti non hanno assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l'omesso esame non già di un "fatto storico", ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte; in particolare, la CTR da un lato, ha chiaramente preso in considerazione la perizia prodotta dalla parte contribuente (in base alla quale della superficie complessiva calpestabile dell'unità immobiliare risultata superiore a mq. 240, soltanto m.q. 165,51 avrebbero potuto essere computati per la determinazione della superficie utile attesa la esclusione di alcuni vani da qualificarsi come cantina e soffitta) superando sostanzialmente le risultanze della stessa in quanto in contrasto con i dati oggettivi delle planimetrie catastali e del rogito notarile e, dall'altro, ha ritenuto che non assumeva rilevanza il mancato accesso - peraltro contestato dall’Agenzia che sosteneva di avere fatto delle misurazioni in loco - presso l'unità immobiliare da parte dell'Ufficio in considerazione del fatto che le caratteristiche di lusso riscontrate non riguardavano finiture interne dell'unità immobiliare ma semplicemente la superficie, risultando sufficiente la verifica dei dati catastali cui la parte poteva opporre valutazioni tecniche di segno opposto (nella specie sostanzialmente disattese); invero, la valutazione dei documenti e delle altre risultanze istruttorie, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (così, Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097).
3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1, nota Il-bis, punto 4, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, modificato dall'art. 41bis, comma 5, del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modificazioni nella legge n. 326 del 2003 per avere la CTR ritenuto legittima l'applicazione della sanzione accessoria irrogata dall'Ufficio per la presunta dichiarazione mendace dei contribuenti sebbene, da un lato, alcuna sanzione fosse prevista ex lege con riferimento alla condotta in esame e, dall'altro, risultasse assente l'elemento soggettivo imputabile ai contribuenti a fini della punibilità.
3.1.11 motivo è infondato.
3.2. Ai sensi dell'art. 1, nota Il-bis, punto 4, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, "in caso di dichiarazione mendace [...]. Se si tratta di cessioni soggette a/l'imposta sul valore aggiunto, l'ufficio dell'Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l'imposta calcolata in base a/l'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione de/l'aliquota agevolata, nonche' irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima".
3.3. La peculiare disposizione, invero, al pari della analoga (contenuta nel medesimo quarto comma della nota II bis) in ipotesi di non spettanza delle agevolazioni dell' imposta di registro chieste per la identica "finalità" (agevolare l'acquisto della c.d. "prima casa"), regola tutte le ipotesi di accertata non spettanza del beneficio fiscale (sia che si tratti di Imposta sul Valore Aggiunto che di imposta di registro) perché per "dichiarazione mendace" deve intendersi ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni, soggettive ed oggettive, previste dalla legge. In particolare (anche quanto all' IVA) va evidenziato che l'applicazione dell'aliquota ridotta non costituisce affatto un obbligo del venditore (né, tanto meno, dell' Ufficio) ma (solo) un diritto soggettivo dell' acquirente, la cui fruizione è subordinata soltanto alla manifestazione (espressa nell'atto di acquisto) della sua volontà di fruire di quella riduzione: tale richiesta, pertanto, suppone necessariamente la "dichiarazione" dell' acquirente (contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle specifiche norme per godere dell' agevolazione. La presenza della "dichiarazione", come noto, consente all' Ufficio solo di riscuotere le imposte di registro nella misura prevista dal beneficio (salvo il successivo esercizio del potere di negarne la spettanza): parimenti, in ipotesi di "cessioni soggette all'imposta sul valore aggiunto", la medesima "dichiarazione" impone al venditore di applicare l'aliquota ridotta non avendo egli (in carenza di specifico disposto normativo) nessun potere giuridico né di contrastare l'afferente manifestazione di volontà dell' acquirente di volersi avvalere del beneficio fiscale né, comunque, di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per il riconoscimento del beneficio stesso. La "dichiarazione" dell' acquirente di voler fruire del beneficio fiscale, invero, istituisce un rapporto giuridico diretto ed esclusivo tra I' acquirente stesso e l'Amministrazione finanziaria in ordine al quale non assume nessun rilievo il regime giuridico proprio dell' imposta per cui, in ipotesi di soggezione dell' atto all'IVA, la soggettività passiva esclusiva del venditore non rileva perché tale qualità impone al venditore medesimo unicamente di assoggettare l'operazione economica al regime agevolato richiesto (potestativamente) dall' acquirente. Proprio in considerazione di tanto il quarto comma della richiamata nota II bis) impone ("deve") all' "ufficio dell' Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti" di "recuperare nei confronti degli acquirenti" (non dei venditori, avendo questi esaurito il rispettivo rapporto tributario assoggettando I' atto all' aliquota ridotta conseguente alla richiesta dell' acquirente) (1) "la differenza fra imposta calcolata in base all' aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall' applicazione dell'aliquota agevolata" e (2) di "irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima ( Cass. sez. 5 n. 10807 del 2012).
3.4. L'art. 33 del d. lgs. 21 novembre 2014, n. 175 ha espunto - ai fini dell'applicazione del regime agevolato alle abitazioni le parole «non di lusso secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969» sostituendole con le parole «ad eccezione di quelle di categoria catastale Al, A8 e A9» e così facendo riferimento alla sola categoria catastale. Tuttavia questa Corte, all'esito dell'ordinanza di rimessione in data 21 novembre 2021, n. 30708, ha ritenuto che non viene in considerazione in questo caso il principio del favor rei, restando la sanzione comunque dovuta, non elidendo la disciplina sopravvenuta la rilevanza della condotta in precedenza oggetto di irrogazione di sanzioni, posto che l'infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, è rimasta immutata, mutandone unicamente l'oggetto (Cass., Sez. U., 27 aprile 2022, n. 13145). Non può, pertanto, essere fatta applicazione della disciplina sopravvenuta ai fini sanzionatori in termini abrogativi della stessa (Sez. 5, n. 20064 del 2022).
3.5. Nella sentenza impugnata la CTR in ossequio ai suddetti principi ha confermato l'applicazione delle sanzioni "in quanto correlate al versamento dell'imposta in misura inferiore al dovuto, condotta imputabile ai contribuenti sotto il profilo soggettivo, quanto meno a titolo colposo".
4. In conclusione, il ricorso va rigettato.
5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.800,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell'art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.