
Con il decreto in esame, il Giudice tutelare ha rigettato l'istanza con cui l'amministratore di sostegno aveva chiesto l'autorizzazione a firmare il diniego all'intervento di tracheostomia quale trattamento sanitario di sostegno vitale per il fratello, ossia il beneficiario.
Il nodo della questione
Con apposita richiesta, l'amministratore di sostegno chiedeva al giudice tutelare l'autorizzazione a firmare il diniego all'intervento di tracheostomia per il fratello, ossia l'amministrato, sulla base delle attuali condizioni del familiare che, colpito da una grave insufficienza respiratoria, era attualmente tenuto in vita grazie a strumenti artificiali, e della volontà più volte espressa in passato dal fratello di non volersi sottoporre a tale tipo di intervento.
Il nodo della questione è chiaro: con il decreto di apertura dell'amministrazione di sostegno si prevede la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, e quindi il consenso informato viene espresso e rifiutato dall'amministratore in persona tenendo conto della volontà dell'amministrato, ma essa non si estende anche all'espressione del rifiuto al trattamento sanitario di sostegno vitale, quindi ciò che chiede l'amministratore di sostegno è una modifica del decreto di apertura.
La vicenda in breve
Facciamo un passo indietro, utile a chiarire entro quale cornice il giudice tutelare del Tribunale di Ascoli Piceno è chiamato a decidere.
La persona beneficiaria dell'amministrazione di sostegno, ovvero il fratello dell'amministratore, risultava essere affetto da diverse patologie già dal 2008, anno a partire dal quale risultava soggetto all'amministrazione di sostegno.
Dal 2007 era infatti iniziato il suo progressivo declino a livello di salute che lo aveva visto sottoporsi già una volta al difficile intervento di tracheostomia.
Dalle dichiarazioni dei familiari, peraltro, era emerso che egli aveva tentato il suicidio per ben due volte, una prima del 2007 e l'altra nel 2013.
Si giunge poi all'episodio di cui si parlava sopra: una grave insufficienza respiratoria aveva determinato il suo ricovero prima nel reparto di pneumologia e poi in quello di rianimazione. A tale episodio seguiva una incapacità di respirazione autonoma, e dunque la necessità del trattamento di sostegno vitale, e una compromissione a livello cognitivo che aveva reso il soggetto incapace di autodeterminarsi in ambito sanitario. Così si arriva alla richiesta dell'amministrazione di sostegno di modificare il decreto di apertura del decreto iniziale, considerato che più volte il fratello aveva espresso la sua volontà di non essere soggetto ad alcun tipo di accanimento terapeutico.
Il diritto al rifiuto del trattamento di sostegno vitale
Come evidenzia il decreto n. 12496 del 23 dicembre 2024, l'ordinamento giuridico non garantisce il diritto di porre fine alla propria vita in ogni situazione di sofferenza, anche se intollerabile e anche se determinata da una patologia irreversibile.
Come espressamente affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 135/2024, il diritto al rifiuto al trattamento sanitario vitale è previsto espressamente dall'
In tale ottica, il diritto al suicidio assistito si inserisce all'interno del diritto al rifiuto del trattamento sanitario vitale.
La posizione dell’amministratore di sostegno
Va evidenziato un profilo fondamentale: anche il soggetto incapace di autodeterminarsi in ambito sanitario ha il diritto di rifiutare le cure vitali, e ciò può avvenire attraverso l'amministrazione di sostegno, istituto finalizzato a tutelare l'amministrato anche sotto tale punto di vista. Ciò ha fondamento legislativo, poiché è l'
Tuttavia, con sentenza n. 144/2019, la Consulta affermava che tale disposizione non attribuisce ex lege all'amministratore di sostegno il potere di esprimere o meno il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale, limitandosi a disciplinare la casistica in cui l'amministratore di sostegno riceva anche tale potere dal giudice.
La problematica riguarda in tal caso l'individuazione dei presupposti necessari allamodifica del decreto di apertura dell'amministrazione di sostegno nel senso dell'estensione dei suoi poteri di rappresentanza esclusiva anche in relazione al rifiuto del trattamento di sostegno vitale. La Corte costituzionale non ha infatti chiarito quali siano gli accertamenti utili ad assicurare tale diritto alla persona incapace, né sulla base di quali presupposti il giudice possa estendere la rappresentanza esclusiva dell'amministratore di sostegno.
Tale situazione è particolarmente complessa perché occorre accertare in via presuntiva la volontà del rifiuto da parte del soggetto incapace di autodeterminarsi in ambito sanitario.
L’accertamento della presunta volontà della persona incapace di autodeterminarsi in ambito sanitario
Per estendere la rappresentanza esclusiva dell'amministrazione di sostegno anche al rifiuto del trattamento sanitario vitale sono necessari due accertamenti: quello relativo alla capacità di autodeterminarsi e quello sulla presunta volontà del beneficiario.
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1.Quanto alla capacità di autodeterminarsi, l'accertamento deve estendersi allo specifico oggetto della scelta e al grado di probabilità di recupero della capacità stessa, tenendo conto che la reversibilità e il dubbio sulla reversibilità possono non precludere il rifiuto nel caso in cui sia accertata l'inequivoca volontà della persona di rifiutare il trattamento di sostegno vitale; 2. L'accertamento della presunta volontà della persona è il vero spartiacque. La giurisprudenza costituzionale ha presupposto in tal senso la presenza di una dichiarazione contestuale e formalizzatadi volontà della persona di rifiuto. L'assenza di una dichiarazione di volontà formalizzata, come presupposto anche dalla normativa sulle DAT, richiede inevitabilmente un procedimento più lungo, richiedendo presunzioni gravi, precise e concordanti in tale direzione. L'accertamento della volontà richiede nello specifico:
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In sostanza, l'accertamento della volontà richiede la necessità di indagare con ogni mezzo possibile sulla collocazione del rifiuto nell'identità complessiva della persona, procedimento ove comunque resta un margine di profondo dubbio per via dei rilevanti interessi in gioco.
In conclusione
Tirando le fila, il Giudice tutelare, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale illustrato, ritiene che non emerge con chiarezza ed inequivocità medico-scientifica l'irreversibilità della condizione di non autodeterminazione della persona in relazione ai trattamenti sanitari. La presunta volontà di rifiuto del trattamento sanitario richiederà quindi ulteriori accertamenti la cui complessità è correlata alla condizione specifica della persona.
Non si accoglie, concludendo, la richiesta di modifica del decreto di apertura dell'amministrazione di sostegno.