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26 giugno 2024
Suicidio assistito: punibile l’agevolazione se i trattamenti di sostegno vitale sono stati rifiutati perché accanimento terapeutico?

Nella stessa settimana che ha visto svolgersi l'udienza sul tema presso la Corte costituzionale, un nuovo caso rimesso alla Corte dal GIP di Milano vede coinvolto Marco Cappato, il quale dichiara di aver accompagnato in Svizzera un uomo e una donna, affetti da patologie irreversibili e fonti di gravi sofferenze, che avevano liberamente deciso di non sottoporsi ad alcun trattamento di sostegno vitale perché inutile o espressione di accanimento terapeutico, scegliendo quindi di porre fine dignitosamente alla propria vita.

di La Redazione

I fatti in breve

Il procedimento in esame prende avvio dalle denunce sporte da Marco Cappato che dichiarava di aver accompagnato in apposite strutture autorizzate in Svizzera un uomo e una donna che avevano deciso di porre fine alla propria vita attraverso la procedura si suicidio assistito.
Nello specifico:

  •  La donna era malata oncologica terminale senza possibilità di guarigione la cui malattia progrediva in termini dolorosi. Ella, avuta una chiara rappresentazione di quale morte avrebbe dovuto affrontare (per soffocamento), aveva deciso di cessare di vivere prima di andare incontro a una lunga agonia e, considerata anche la volontà di non gravare sui suoi parenti più stretti, aveva contattato l'indagato, il quale, vista l'incapacità della donna di spostarsi automaticamente, si era detto disponibile ad accompagnarla in Svizzera, così come avvenne;
  • L'uomo, invece, era affetto da Parkinson Atipico che stava velocemente progredendo costringendolo ad una assistenza continua, al punto che non era più in grado di assumere liquidi autonomamente. Costretto prima sulla sedia a rotelle e poi a letto, ma ancora lucido a livello cognitivo, l'uomo manifestava la volontà di porre fine alle sue sofferenze. Anche in tal caso, l'indagato accompagnava in auto l'uomo presso la struttura svizzera, ove decedeva dopo l'auto-somministrazione di un farmaco letale.

La richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano

La linea della Procura è molto chiara: la condotta di Marco Cappato rientra nell’area di non punibilità di cui all’art. 580 c.p., come circoscritta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, nonostante nessuno dei due pazienti fosse tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, poiché da essi stessi rifiutati in quanto inutili o espressione di un accanimento terapeutico secondo la scienza medica. In tale ottica, condotta di agevolazione al suicidio assistito posta in essere dall’indagato avrebbe consentito l’esercizio del diritto all’autodeterminazione verso i due titolari che non erano in grado di esercitarlo in via autonoma, sebbene pienamente lucidi e consapevoli.

La decisione del GIP

Il GIP di Milano, nella stessa settimana in cui la medesima questione è stata al centro di una udienza della Corte costituzionaleil cui esito si attende, afferma che la condotta dell'indagato non può ricondursi nell'ambito applicativo della scriminante di cui sopra, e ciò per un motivo ben preciso: i signori non erano tenuti in vita da trattamenti sanitari vitali.
Nessun dubbio che la condotta di “accompagnamento in auto” sia stata dettata dalla volontà stessa delle parti di procedere al suicidio assistito, né che la condotta di agevolazione in tal senso non sia tuttora punibile nel nostro ordinamento.

ildiritto

Tuttavia, l'art. 580 c.p. contempla che la condotta si realizza attraverso una partecipazione materiale e una partecipazione psichica, e nella partecipazione materiale rientra anche la condotta di agevolazione che va intesa come l'ausilio sotto forma di fornitura di mezzi o rimozione di ostacoli alla realizzazione del proposito suicidario.

Al di là di ciò, occorre “fare i conti” con la sentenza n. 242/2019 con cui la Consulta ha affermato che la scriminante procedurale presente nel nostro ordinamento esclude la punibilità di chi con le modalità di cui agli artt. 1 e 2 L. n. 219/2017, e sussistendo i presupposti indicati, agevoli l'esecuzione del proposito di suicidio formatosi autonomamente e liberamente.
La Consulta ha individuato una serie di parametri specifici cui è subordinato l'esercizio del diritto di autodeterminazione nelle scelte di fine vita, che sono:

precisazione

  • La presenza di una patologia irreversibile;
  • La suddetta deve essere fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute assolutamente intollerabili;
  • La stessa impedisce alla persona di rimanere in vita se non attraverso un trattamento di sostegno vitale;
  • La malattia non deve privare il soggetto della capacità di assumere decisioni libere e consapevoli.

Ebbene, in entrambi i casi in esame si prospettano tutte le condizioni di cui sopra, ad eccezione della terza, motivo per il quale l'indagato non può giovarsi della scriminante. 

La questione va rimessa alla Corte costituzionale

Così come avanzata, la richiesta di archiviazione non può essere accolta per il motivo di cui sopra.
Tuttavia, il giudizio non può essere definito prima di sentire la Corte costituzionale pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale indicata in relazione all'art. 580 c.p. nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola il suicidio medicalmente assistito di persona affetta da patologia irreversibile che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la decisione di cessare la propria vita, per violazione degli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost. con riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU.
Nello specifico si segnala:

esempio

  • La violazione dell'art. 3 Cost. per via della irragionevole disparità di trattamento dei casi come quelli in esame ove il paziente non abbia voluto coscientemente iniziare un trattamento sanitario vitale perché ritenuto inutile rifiutando anche la sedazione profonda e/o la terapia del dolore perché non corrispondente alla propria visione della dignità di morire. Oltretutto, nel nostro ordinamento non esiste ancora una nozione legislativa di “trattamento di sostegno vitale”;
  • La violazione del diritto all'autodeterminazione nelle scelte terapeutiche, nel senso di limitarne l'esercizio imponendo un'unica modalità di decesso;
  • La violazione dell'art. 8 CEDU che ricomprende il diritto a scegliere di morire con dignità tra gli aspetti della vita privata da tutelare.

Il GIP trasmette dunque gli atti e sospende il giudizio.

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