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«Il patto con il quale i soci di una s.r.l. s'impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando all'esercizio del diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell'indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto d'interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell'interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale di società, non potendo i soci, non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l'interesse della società, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società, ne' che la compagine sociale sia limitata a due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi)». |
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. A seguito di ordinanza dichiarativa di incompetenza,(omissis)in qualità di procuratore generale di(omissis)(omissis)ha riassunto i giudizi precedentemente instaurati dinanzi al Tribunale di(omissis)R.G. nn. 1233/2012 e 1250/2012, proponendo azione di responsabilità ex art 2476 comma 3 c.c. nei confronti di (omissis) (omissis)(omissis)(omissis)quali amministratori della(omissis)S.r.l., nonché nei confronti della(omissis)(omissis) S.r.l. e della(omissis)(omissis) S.r.l., per conseguire il risarcimento dei danni subiti dalla società in seguito ad una serie di irregolarità e di condotte distrattive e pregiudizievoli per il patrimonio sociale, poste in essere dal 2002 al 2010, nonché azionando domanda revocatoria ex. art. 2901 c.c., degli immobili così elencati: appartamento sito in (omissis).
A fondamento della domanda ha dedotto che(omissis)è socio, con una quota pari al 25% del capitale sociale, della(omissis)S.r.l., di cui sono soci anche l’arch.(omissis)(omissis) per una quota del 25% e(omissis)per una quota del 50%. Che gli amministratori della (omissis) S.r.l. sono stati i seguenti: 1) il socio(omissis)(omissis)(omissis), dalla data della costituzione della società fino al 31.01.2006; 2) il sig.(omissis)dal 31.01.2006 fino alla data del 31.10.2007;
3)(omissis)il sig.(omissis)dal 31.10.2007 alla data del 10.02.2010; 4) il sig.(omissis)dal 10.02.2010 alla data del 30.06.2011; 5) dal 30.06.2011 nuovamente il sig. attualmente in carica.
Tanto premesso ha esposto che, nonostante le numerose richieste sia verbali, che con lettere raccomandate e con atti stragiudiziali, il socio(omissis)non ha mai potuto esercitare il proprio diritto di accesso agli atti contabili della società, fatta eccezione per: a) le notizie e le copie avute da alcune ditte fornitrici in occasione di misurazioni in contraddittorio; b) le notizie e le copie avute da alcuni acquirenti; c) alcuni rendiconti redatti in modo molto semplificato e sommario ottenuti dall’amministratore(omissis)(omissis)previa richiesta da parte del socio, di rappresentare in modo chiaro ed inequivocabile le entrate e le uscite; d) i pochi e parziali documenti contabili (tra cui matrici di assegni ed alcuni estratti conto) messi a disposizione, sempre dal(omissis)per giustificare il fatto che gli utili che si sarebbero percepiti, sia per l’operazione immobiliare del centro commerciale in contrada(omissis)di(omissis)che per la ristrutturazione e vendita del fabbricato in(omissis)alla Via del(omissis)(omissis)sarebbero stati molto inferiori di quelli previsti. Ha, quindi, affermato che, dall’esame della suddetta documentazione, pur se incompleta, è possibile riscontrare una serie di irregolarità che avrebbero dato luogo al depauperamento del patrimonio della S.r.l., con i sistemi di seguito elencati: pagamenti giustificati con fatture di comodo; prelievi giustificati con fatture di soci per lavori mai eseguiti o di fornitori, spesso pagati per contanti; somme in contanti avute direttamente dai clienti e mai versate nelle casse della società; rimborso finanziamenti ai soci, per finanziamenti che, in realtà, in molti casi, non sarebbero stati necessari se non fossero stati utilizzati i metodi di cui ai due punti precedenti per svuotare le casse.
Alla luce di quanto esposto, ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “piaccia all’On. Tribunale adito, ogni contraria istanza, ragione ed eccezione disattesa, in accoglimento della spiegata domanda: - accertare, ritenere e dichiarare le irregolarità commesse dagli amministratori che si sono succeduti nella conduzione della soc. srl, sopra indicati, e conseguentemente ordinare e condannare gli stessi a versare le somme che risulteranno dovute nelle casse della società, al fine di rifondere quanto illegittimamente distratto in danno della stessa(omissis)-ritenere e dichiarare nulli, o annullabili, e quindi revocarli, gli atti pubblici di trasferimento degli immobili così elencati: -un appartamento sito in(omissis)alla via del(omissis)in (omissis); -in data 04.08.2008, con atto notaio (omissis) n. 22091/10463 l’unità immobiliare ad uso negozio, distinta in Catasto al foglio 10, part. 1384 sub 81; -in data 14.4.2011, con atto Notaio (omissis) n. 74463/30286, l’immobile sito nel complesso le (omissis) distinto in (omissis), il lastrico solare di mg. 1805 del fabbricato in c.da(omissis)part.1384 sub 41, che risultano lesivi del patrimonio sociale della(omissis)srl, al fine di reintegrare il patrimonio sociale della stessa; condannare, in ogni caso in considerazione della palese soccombenza, i convenuti, ove dovessero opporre la odierna domanda, al pagamento delle spese e competenze del giudizio”.
Si sono costituiti in giudizio, con un unico atto, i convenuti(omissis)(omissis)in proprio, nonché nella qualità di liquidatore della società(omissis)(omissis) S.r.l. e di amministratore unico della (omissis) S.r.l.;(omissis)(omissis)(omissis)(omissis)e quest’ultimo in proprio, nonché nella qualità di amministratore della società(omissis)S.r.l., contestando ogni addebito e chiedendo il rigetto delle domande attoree.
In particolare, hanno eccepito, preliminarmente, il difetto di legittimazione attiva del socio a sollevare contestazioni relativamente al periodo di amministrazione(omissis)e al periodo di gestione del(omissis)(omissis)compreso tra il 31.01.2006 ed il 23.03.2006, poiché divenuto socio nel marzo 2006, nonché per aver stipulato un patto parasociale con il quale avrebbe dichiarato di accettare in modo assoluto ed incondizionato quanto fino ad oggi compiuto ed eseguito dalla società(omissis)senza mai poter eccepire e/o sollevare obiezioni all’operato della società.
In particolare,(omissis)(omissis)(omissis)ha eccepito la prescrizione dell’azione di responsabilità nei propri confronti e, nel merito, ha dedotto l’insussistenza delle irregolarità a lui addebitate da parte avversa.
Anche(omissis)ha eccepito la prescrizione dell’azione di responsabilità nei propri confronti contestando, altresì, la qualifica di amministratore di fatto per il periodo antecedente alla sua amministrazione che va dal 31.1.2006 al 31.10.2007. Ha poi dedotto l’inammissibilità e l’improponibilità delle domande proposte dall’attore nei propri confronti, atteso che gli atti di gestione oggetto di contestazione da parte dell’attore sono stati sottoposti all’assemblea dei soci in data 31.10.2007, la quale ha deliberato, con la maggioranza prescritta ex lege in merito alla gestione da lui posta in essere, ratificando il relativo operato e così rinunciando alla proposizione di eventuali azioni di responsabilità nei confronti del sig.(omissis)quale amministratore della medesima società. Nel merito ha chiesto il rigetto della domanda attorea attesa l’inesistenza di irregolarità, l’assenza di danno al patrimonio sociale, nonché di nesso causale tra dette due componenti.
ha anche lui eccepito l’inammissibilità e/o improponibilità della proposta domanda attorea, posto che, nel corso dell’assemblea tenutasi in data 30/07/2008, la riunitasi adunanza ha deliberato di “condividere e ratificare, ritenendo esatto l’operato dell’amministratore, senza, avere, pertanto nulla da eccepire” posto in essere sino alla relativa nomina, avvenuta in data 31/10/2007. Ha, inoltre, evidenziato che l’alienazione dei restanti beni di titolarità della società rappresenta attività legittimamente deliberata ed autorizzata stesso(omissis)nel corso della quale era emersa l’esigenza di tutelare il patrimonio della società, oltre che quello dei fideiussori.
dopo aver eccepito la carenza di legittimazione del socio(omissis)per le medesime ragioni esposte dagli altri convenuti, ha chiesto il rigetto della domanda attorea in quanto infondata e sprovvista del necessario supporto probatorio.
Infine, la(omissis) S.r.l. e la (omissis) S.r.l. hanno eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva.
A seguito di riunione dei giudizi riassunti, all’udienza del 16.3.2017, rilevato un conflitto di interessi, ai sensi dell’art. 78 c.p.c., fra la S.r.l. ed il suo rappresentante legale costituito nel presente giudizio, è stato nominato un curatore speciale nella persona dell’avv. Santo Manes.
Con comparsa di costituzione e risposta si è, quindi, costituita in giudizio la società
S.r.l. aderendo alle domande dell’attore con la precisazione che “le richieste di revocatoria, in relazione alla compravendita di alcuni immobili di proprietà della società, è da intendere limitata al risarcimento del relativo danno, non apparendo esperibile una siffatta azione da parte del socio, anche nella sua veste di sostituto processuale, non avendo anche la società legittimazione alcuna in tali senso”.
La causa, istruita con prove documentali e con l’assunzione di alcune delle prove orali, è stata rimessa al Collegio per la decisione, all’esito della trattazione scritta dell’udienza di precisazione delle conclusioni, con l’assegnazione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c..
2.(omissis)Sull’eccezione di difetto di legittimazione attiva del socio
2.1.(omissis)Giova premettere che ai sensi dell’art. 2476, comma 3, c.c., “L’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio”.
La disposizione configura una forma di sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.), dal momento che, come chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, “con il rimedio in oggetto il socio fa valere in nome proprio il diritto della società alla reintegrazione, per equivalente monetario, del pregiudizio al proprio patrimonio, derivato dalla violazione dei doveri di corretta e prudente gestione che, per legge e per statuto, gravano sull’amministratore in forza del rapporto di preposizione organica (di fonte contrattuale) fra quest’ultimo e la società. La disposizione di cui al citato art. 2476, terzo comma, c.c., nella parte in cui contempla la legittimazione del singolo socio ad agire in nome proprio e nell’interesse della società partecipata, è necessariamente di stretta interpretazione e non passibile di estensione in via analogica” (Trib. Milano n. 39 dell’8.1.2022; nello stesso senso anche da Cass., 31.5.2016, n.
In altre parole, nell’ottica del rafforzamento della tutela processuale della società, che pur mantiene il proprio autonomo diritto di azione, l’art. 2476, terzo comma, c.c. consente al singolo socio di società a responsabilità limitata di far legittimamente valere nel processo in nome proprio, ma nell’interesse della società, il diritto al risarcimento del danno cagionato al patrimonio della società stessa dall’inadempimento dell’amministratore alle obbligazioni che gli derivano dall’incarico di preposizione gestoria, di cui è titolare; quindi il diritto fatto valere dal socio appartiene alla società, che potrebbe in ipotesi ugualmente esercitarlo, e la legge autorizza il socio ad esercitare in giudizio detto diritto nell’interesse della società stessa (art. 81 c.p.c.), come del resto si desume anche dal citato art. 2476, quarto e quinto comma, c.c. (Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 24/08/2016, n.16049).
Inoltre, in quanto integrante il presupposto della speciale legittimazione ad agire in veste di sostituto processuale della società danneggiata, lo status di socio in capo all’istante deve persistere per l’intera durata del giudizio. Le condizioni dell’azione, infatti, devono sussistere non solo all’atto della proposizione della domanda giudiziale, ma anche al momento della pronuncia (così Tribunale Milano n. 39 dell’8.1.2022; Tribunale Roma 29.9.2017, reperibile in wwww.giurisprudenzadelleimprese.it; nello stesso senso Tribunale Milano 20.10.2019 in Le Società, 2020, fasc.3, 370).
Tanto premesso, non coglie nel segno l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del socio(omissis)in relazione ai fatti avvenuti anteriormente al suo ingresso in società, sollevata dai convenuti(omissis)(omissis)(omissis)e(omissis)dal momento che rivestiva la qualifica di socio, presupposto indispensabile della legittimazione sostitutiva, al momento dell’instaurazione della causa e fino al momento della pronuncia della presente sentenza. Ne consegue che quest’ultimo, in veste di sostituto processuale della società, ex art. 81 c.p.c. ha legittimazione ad agire anche per fatti antecedenti all’acquisizione dello status socii, purché tale qualifica sia posseduta al momento della proposizione della domanda. Ed invero, l’azione di responsabilità esercitata dal socio è volta a reintegrare il patrimonio della società dal pregiudizio ad esso cagionato dalla condotta inadempiente degli amministratori, chi beneficia dell’azione è la società. La condanna, infatti, è in ogni caso richiesta in favore della società.
2.2.(omissis)Ciò posto, il convenuto(omissis)(omissis)(omissis)(omissis)ha altresì eccepito il difetto di legittimazione attiva del socio(omissis)a sollevare contestazioni per asserite irregolarità dallo stesso commesse, anche in virtù dell’impegno assunto dall’attore con la stipula del patto parasociale del 23.3.2006. In particolare, ha dedotto che, contestualmente alla stipula dell’atto di “cessione di partecipazione”, è stato stipulato tra(omissis)(omissis)e(omissis)(omissis)(omissis)un patto parasociale mediante il quale il primo ha dichiarato di “accettare in modo assoluto e incondizionato quanto fino ad oggi compiuto ed eseguito dalla società S.r.l., senza mai poter eccepire e/o sollevare obiezioni all’operato della società ; - di accettare le vendite sino ad oggi eseguite, e quanto altro svolto dalla su nominata società…”.
Al riguardo l’attore, tramite il proprio procuratore, ha dedotto l’inefficacia nei propri confronti di tale patto dal momento che lo stesso è stato stipulato e sottoscritto dall’ing. (omissis) in data 23 marzo 2006, ossia in un momento in cui quest’ultimo non era ancora stato nominato procuratore generale di(omissis)nomina avvenuta per notar (omissis) solo in data 03.09.2007 (v. doc. n. 2 fascicolo di parte attrice).
Orbene, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, i patti parasociali sono convenzioni con cui i soci od alcuni di essi attuano un regolamento di rapporti - non opponibile alla società - difforme o complementare rispetto a quello previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto della società stessa (Cass., 23-4-1969, n. 1290; Id., 2-10-1969, n. 3423; Cass., 22-12-1969, n. 4023).
Tali strumenti consentono, generalmente, di neutralizzare ovvero temperare il conflitto che spesso sorge tra l’interesse personale del singolo socio ovvero di gruppi di soci e quello della società e possono essere stipulati in qualunque forma, tra soci ovvero anche tra soci e terzi estranei alla società.
È bene precisare, infatti, che per loro natura, i patti parasociali hanno efficacia solo obbligatoria tra gli aderenti al patto stesso (Cass. 14629/2001, Cass. 1056/1981) e non sono quindi opponibili né ai soci non aderenti, né alla società (Cass. 3339/1969), né ai terzi, compresi in particolare i soggetti che acquistano le azioni dai c.d. parasoci (Trib. Torino, 28 aprile 1998).
Considerato, quindi, che nel caso di specie il suddetto patto è stato stipulato da in nome proprio, lo stesso deve pertanto ritenersi improduttivo di effetti nella sfera giuridica del socio(omissis)in mancanza della spendita del nome di quest’ultimo. Il tutto anche in assenza di specifica procura rilasciata dal socio (omissis).
Ciò nondimeno, deve ritenersi che il citato accordo, nella parte in cui prevede l’impegno preventivo di(omissis)a non eccepire e/o sollevare obiezioni all’operato della società deve ritenersi nullo per contrarietà a norme imperative e inderogabili ed ha oggetto illecito.
Al riguardo, questo Collegio ritiene di dover condividere quanto affermato in proposito dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo cui “Il patto con il quale i soci di una s.r.l. s’impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l’azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando all’esercizio del diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell’indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto d’interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell’interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale di società, non potendo i soci, non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della società, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società, ne’ che la compagine sociale sia limitata a due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi)” (cfr., altresì, Cassazione civile sez. I 27 luglio 1994 n. 7030).
2.3.(omissis)Infine, non può trovare accoglimento neanche l’eccezione sollevata dal convenuto relativa all’inammissibilità e/o improponibilità dell’azione di responsabilità spiegata in nome del socio(omissis)relativamente all’intero periodo di gestione sociale da parte del in considerazione di quanto deliberato nel corso dell’assemblea sociale del 31/10/2007.
In particolare, il convenuto ha rappresentato che gli atti gestori oggetto di contestazione da parte del socio(omissis)con la missiva del 09/08/2007 e in buona sostanza identici a quelli oggetto del presente giudizio, sono stati sottoposti all’assemblea dei soci in data 31/10/2007, la quale ha deliberato, con la maggioranza prescritta ex lege, in merito alla gestione posta in essere dall’amministratore(omissis)(omissis)ratificandone il relativo operato.
Occorre a tal proposito esaminare la delibera assembleare del 31/10/2007 che la difesa di parte convenuta ha invocato per mandare il primo assolto da ogni responsabilità.
In tale occasione l’assemblea ha deliberato, con il solo voto contrario di quale procuratore del socio(omissis)l’adozione dei seguenti provvedimenti:
a) di ritenere valide, esaustive e complete le argomentazioni e/o la documentazione esibita a supporto dal Sig.(omissis)nella sua qualità;
b) di dare atto che la missiva dell’ing.(omissis)è fortemente lesiva degli interessi oltre che del patrimonio e dell’immagine della società, dei soci e del suo organo di amministrazione;
c)(omissis)di dare mandato all’Amministratore di conferire incarico ad un legale affinché si valuti la opportunità di adire le vie legali nei confronti del socio(omissis)e/o per esso del suo procuratore ing.(omissis)al fine di tutelare i legittimi interessi;
e) di ratificare, così come ratifica, l’operato dell’amministratore dalla data della sua nomina e fino ad oggi;
f)(omissis)di prendere atto che i soci ((omissis)e(omissis)Costruzione S.r.l.) congiuntamente e/o disgiuntamente daranno mandato anch’essi ad un legale al fine di tutelare i loro legittimi interessi.
Mentre è stata deliberata all’unanimità l’adozione del seguente provvedimento:
d) di dare atto che le operazioni di amministrazione poste in essere dal Sig. (omissis) in nome e per conto della “ S.r.l.”, sono state fatte nel rispetto delle leggi vigenti in materia e che esse, oltretutto, sono correttamente e fedelmente riportate sui libri e/o registri obbligatori per legge;
Al riguardo, l’ing.(omissis)ha dichiarato in sede di assemblea, come risulta dal relativo verbale, che “non avendo modo di desumere il contrario, ritiene, fino ad eventuale prova contraria, che l’amministratore stesso abbia agito nel pieno rispetto della legge” (v. doc. n. 12 fascicolo di parte attrice e doc. n. 10 fascicolo di parte convenuta).
Orbene, la tesi prospettata dal convenuto non merita di essere accolta.
Osserva in primo luogo il Tribunale come attraverso la delibera del 31.10.2007 la società non abbia espresso in alcun modo la volontà di rinunciare o transigere in via preventiva l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore.
Ciò, infatti, non risulta affatto dal tenore letterale della medesima delibera.
Appare quindi una forzatura interpretativa equiparare la predetta ratifica ad una rinunzia tacita all’azione di responsabilità.
E, invero, i punti all’ordine del giorno -così come indicati nel verbale di assemblea del 31.10.2007- non contenendo alcun riferimento alla facoltà riconosciuta alla società dal comma 5 dell’art. 2476 c.c., appaiono generici e non idonei a far comprendere ai soci, ed in particolare al socio di minoranza, che in tale occasione si sarebbe discusso della rinuncia all’azione e che egli avrebbe potuto esercitare il potere di veto previsto dall’ultimo comma dell’articolo citato.
Come chiarito dalla giurisprudenza di merito, infatti, nelle società a responsabilità limitata, tanto la rinuncia all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori quanto la transazione della predetta azione, oltre a dover essere deliberate espressamente dalla maggioranza qualificata prevista per legge, non possono giammai essere desunte da espressioni generiche contenute in verbali aventi altro oggetto, o, ancora, da fatti concludenti (v. in questi termini Tribunale di Cagliari n. 2039/2016).
Sul punto occorre svolgere ulteriori considerazioni.
La giurisprudenza ha avuto altresì modo di precisare che la ratifica ex post da parte dell’assemblea degli atti compiuti dagli amministratori possa liberare questi ultimi dalle loro responsabilità verso la società solo qualora ricorrano le condizioni rispettivamente richieste dagli artt. 2393 ultimo comma e 2476 quinto comma c.c. (Tribunale Cagliari 1.12.2015, R.G. n. 5122/2009).
Ne discende che nel caso in esame, poiché alla ratifica dell’operato dell’amministratore si è opposto il socio attore, titolare di una quota del 25%, la stessa non può ritenersi validamente deliberata.
Inoltre, il socio attore ha sempre contestato le condotte poste in essere dall’amministratore asseritamente oggetto di ratifica, tanto è vero che la stessa assemblea di cui si
discute è stata convocata proprio in seguito alle doglianze mosse dall’attore con la missiva del 29.09.2007 (doc. n. 10 fascicolo di parte attrice) e, come già detto, senza neanche che la predetta “ratifica” fosse chiaramente prevista all’ordine del giorno.
Alla luce di tali principi appare evidente, pertanto, come l’eccezione sollevata sia infondata e debba essere respinta, non potendosi in alcun modo fondatamente sostenere che l’approvazione sul punto possa avere spiegato effetti preclusivi su eventuali azioni di responsabilità.
Né, in alcun modo, l’eccepita mancata impugnazione della suddetta delibera – che, semmai, può assumere rilievo nel merito della vicenda, può incidere in punto di condizioni dell’azione.
3.1.(omissis)Tanto premesso, ritiene il Collegio di dovere esaminare e risolvere innanzi tutto la preliminare questione di prescrizione sollevata tempestivamente dai convenuti(omissis)(omissis) e(omissis)(omissis)nella propria comparsa di costituzione e risposta depositata entro il termine di venti giorni dall’udienza fissata per la prima comparizione, ai sensi dell’art. 168-bis, comma 5 c.p.c..
In tema di azione di responsabilità sociale diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivato alla società da violazioni poste in essere dagli amministratori ex art. 2476 c.c. il termine prescrizionale è di cinque anni ex art. 2949 c.c..
Orbene, alla luce della norma testé citata, sussistono seri dubbi che l’azione sia stata validamente esercitata nei riguardi del convenuto(omissis)(omissis).
Come noto, infatti, il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità sociale verso amministratori e liquidatori è sospeso fino alla cessazione della loro carica, in virtù della disposizione di cui all’art. 2941 co.1 n. 7, c.c. richiamata dall’art. 2489 co. 2 c.c. in tema di liquidatori (cfr. ex multis Tribunale Milano, 21/05/2020).
Nel caso di specie, risulta che l’atto di citazione sia stato notificato al convenuto (omissis)(omissis)in data 2/11/2012 (e, ancor prima, il primo atto di citazione introduttivo del procedimento n. 1233/12 R.G.A.C innanzi il Tribunale di(omissis)è stato notificato in data 26 ottobre 2012), mentre la data della cessazione della carica dell’amministratore convenuto risulta indicata nella prodotta visura camerale (doc. 5 di parte attrice) al 31.1.2006.
Ne consegue che deve trovare accoglimento l’eccezione di prescrizione nei confronti di (omissis).
Anche a voler ritenere, come sostenuto da parte attrice, che il termine prescrizionale debba (omissis) cioè, allorquando esso si è manifestato nella sfera patrimoniale della società, il termine di prescrizione deve ritenersi spirato.
Come noto, infatti, a norma dell’art. 2935 c.c. il termine di prescrizione “comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. La suddetta norma è stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che l’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione “è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli ostacoli di mero fatto o gli impedimenti soggettivi, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione della prescrizione” (Cass. 14193/2021; Cass. n. 14193 del 24/05/2021).
In questo solco, sono stati considerati impedimenti soggettivi o ostacoli di mero fatto “l’ignoranza del fatto generatore del diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di esso e il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento” (Cass. civ. 996/2022).
Ciò posto, l’attore non ha neanche allegato il diverso momento di decorrenza della prescrizione, come sarebbe stato suo onere fare.
E, pertanto, poiché parte attrice imputa al convenuto(omissis)di aver posto in essere atti distrattivi del patrimonio sociale, consistiti per lo più nell’emissione di assegni a suo favore dal conto della S.r.l., deve ritenersi che il danno si sia verificato nel momento in cui le somme distratte sono uscite indebitamente dal conto della società e sono entrate nella disponibilità.
Del resto dalla stessa documentazione prodotta da parte attrice (cfr. doc. n. 10 fascicolo di parte attrice) si evince chiaramente che il socio fosse in condizione di rendersi conto delle asserite condotte dissipative poste in essere tanto dal convenuto(omissis)che dal convenuto - che secondo la prospettazione attorea avrebbero agito concordemente -, già in epoca precedente alle dimissioni di quest’ultimo. Ed invero, già nella raccomandata datata 29 settembre 2007 l’attore ha indicato numerose condotte illegittime a carico del(omissis)per lo più corrispondenti a quelle addotte a supporto dell’azione di responsabilità. Si deve quindi ritenere che in tale momento il socio(omissis)avesse senz’altro la contezza del fatto illecito e la possibilità di rendersi conto dell’esistenza di eventuali condotte distrattive poste in essere anche(omissis)in epoca precedente a quelle contestate con la lettera del 29 settembre 2007.
In tal caso, in effetti, l’unico ostacolo all’esercizio dell’azione era dato solamente dalla ignoranza del fatto che il dissipamento del patrimonio societario fosse stato causato dalle condotte descritte e contestate in questa sede: ma tale ignoranza, come chiarito dalla giurisprudenza, è meramente soggettiva, in quanto l’accertamento di quelle condotte non era impedito al socio, dipendendo piuttosto da una inerzia, ovvero dal non avere subito attivato tutti i poteri e le iniziative necessarie e sufficienti a rintracciare la causa di un depauperamento del patrimonio sociale (Trib. Cagliari 2262/2023). In ogni caso, come a più riprese affermato dalla giurisprudenza, l’ignoranza del fatto generatore del pregiudizio non impedisce l’esercizio dell’azione e, dunque, la decorrenza del termine di prescrizione, salve le ipotesi di occultamento del debito – ipotesi per vero anche richiamata negli scritti difensivi di parte attrice a sostegno della non prescrizione dell’azione-.
Tuttavia, nel caso di specie, anche in virtù della genericità delle allegazioni attoree, siffatta ipotesi deve essere recisamente esclusa, giacchè “prevede l’occultamento doloso del debito da parte del debitore e, quindi, una condotta, commissiva od omissiva del debitore tale da comportare, per il creditore, la impossibilità di agire e non già una mera difficoltà al riguardo” (Cass. 7898 del 1994).
Ed invero nel caso di specie non è stato allegato alcun atto commissivo od omissivo di occultamento del debito, essendo piuttosto la condotta distrattiva in sé di difficile accertamento.
Né, tantomeno, appaiono condivisibili le considerazioni spese dalla parte attrice in sede di memoria ex art. 183 co.6 n.1 c.p.c., nella parte in cui la stessa ha affermato che “le azioni illegittime ed illegali poste in essere dall’amministratore(omissis)hanno prodotto conseguenze dannose per il patrimonio della società che hanno generato effetti protratti negli anni così da integrare di estremi di violazioni penali di natura permanente e quindi provocare la conseguenza dell’applicazione del termine prescrizionale più lungo previsto dalla norma in commento.” (v. memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. p. 7).
La suddetta affermazione, infatti, si appalesa del tutto generica e carente già sotto il profilo allegatorio, dal momento che l’attore si limita ad affer(omissis) che il socio(omissis)sarebbe stato compartecipe e, quindi, solidalmente responsabile, nell’attività di mala gestio del socio amministratore di fatto(omissis)senza neanche indicare in cosa questa compartecipazione sarebbe consistita.
Né, infine, si ravvisano i presupposti per la configurabilità dei reati di cui agli artt. 216 e 223 l.fall., come genericamente ipotizzato da parte attrice dal momento che, come chiarito dalla Suprema Corte di cassazione, nelle ipotesi di bancarotta la dichiarazione di fallimento non rappresenta una condizione di punibilità, ma un elemento costitutivo del reato (così Cass. pen. Sez. I, 16/11/2000, n. 4356; vedi anche Cass. pen. 40477/2018: “si ritiene di non condividere l’orientamento secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento sia una condizione obiettiva di punibilità, proprio in quanto il reato fallimentare, in assenza della sentenza dichiarativa di fallimento, non può essere considerato ontologicamente integrato in tutte le sue componenti essenziali”).
In ogni caso, in presenza di un evidente difetto di allegazione, non avendo enucleato alcun elemento costitutivo della specifica e concreta fattispecie di reato a cui intenderebbe riferirsi nella presente causa, parte attrice non può invocare l’automatica applicazione del più lungo termine di prescrizione previsto per il reato di bancarotta fraudolenta.
3.2. Non può invece trovare accoglimento l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto(omissis)(omissis)Ed invero, il primo atto di citazione introduttivo del procedimento n. 1233/12 R.G.A.C innanzi il Tribunale di(omissis)è stato notificato in data 26 ottobre 2012, mentre la data della cessazione della carica dell’amministratore convenuto risulta indicata nella prodotta visura camerale (doc. 5 di parte attrice) al 31.10.2007.
Deve infatti chiarirsi che l’atto di citazione, pur se invalido come domanda giudiziale, inidoneo cioè a produrre effetti processuali, può tuttavia valere come atto di costituzione in mora, ed avere perciò efficacia interruttiva della prescrizione, qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati cui è rivolto, possa essere considerato come richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore (Cass. civ., terza sezione civile, n. 124 del 2020).
4. Tanto chiarito, la domanda proposta da(omissis)in qualità di procuratore di(omissis)(omissis)è parzialmente fondata e va, conseguentemente, accolta nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
Preliminarmente giova ricordare che l’azione sociale di responsabilità si configura, secondo il costante insegnamento della dottrina e della giurisprudenza di legittimità, come una azione risarcitoria di natura contrattuale, derivante dal rapporto che lega gli amministratori alla società e volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte (dolose o colpose) degli amministratori, poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo.
Come costantemente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, inoltre, “Per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di “mala gestio” e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la “causa petendi” deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. Ciò vale tanto che venga esercitata un’azione sociale di responsabilità quanto un’azione dei creditori sociali, perché anche la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare responsabilità non già in conseguenza dell’alea insita nell’attività di impresa, ma in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati nella domanda nei loro estremi fattuali” (Cass. 27.10.2006 n. 23180).
E pertanto, trattandosi di responsabilità contrattuale, in capo all’attore grava l’onere di allegare e provare la sussistenza delle violazioni agli obblighi e il danno che queste hanno cagionato, da intendersi quale diminuzione patrimoniale eziologicamente collegata alla mancata osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo.
Conseguentemente, per costante giurisprudenza, affinché possa ritenersi integrata la responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori, è necessaria, oltre alla prova di concreti inadempimenti dell’organo gestorio ai doveri su di esso incombenti per legge e statuto, l’allegazione e la prova del danno in tal modo concretamente cagionato al patrimonio sociale e del nesso di causa che lega i primi al secondo (cfr. Tribunale Milano, sentenza n. 12568/2008), con la conseguenza che non risulta sufficiente, per l’accoglimento della domanda, l’indicazione generica di irregolarità contabili e amministrative, in assenza di allegazione del concreto vulnus che sarebbe derivato all’integrità del patrimonio della società.
4.1. Ciò premesso, parte attrice ha mosso specifiche contestazioni nei riguardi dei singoli amministratori convenuti, ciascuno in relazione al proprio periodo di amministrazione.
4.2. In particolare, al convenuto (omissis) ha contestato:
A) la mancata redazione della contabilità analitica specificata nella scrittura privata tra i soci del 16.05.2007, sebbene più volte richiesta;
B) il prelievo dalle casse della(omissis)di ingenti somme giustificate con fatture dell’impresa per lavori sul cantiere di(omissis)(omissis)e su quello in(omissis)di contrada(omissis)mai eseguiti dalla ditta(omissis)(€ 441.000,00);
C) l’avere emesso, sul conto della Banca Popolare di Bari, in data 09.02.2006, tre assegni circolari di € 10.000,00 ciascuno intestati alla S.r.l., prelevando € 10.000,00 in contanti per un totale di € 40.000,00;
D) l’aver disposto un bonifico di €48.542,00 dalla(omissis)a favore del socio S.r.l. (di cui è egli stesso l’amministratore), giustificandolo con fattura n.4 del 20.09.2006 per lavori mai eseguiti dalla(omissis) , ma eseguiti dalla ditta edili L.S S.r.l.;
E) l’aver pagato alla ditta edili L S S.r.l. una fattura, per un riempimento con misto di fondazioni inferiore a 200 mc, per un importo di € 12.000,00 oltre IVA, cioè € 60.000/mc che corrisponderebbe al quintuplo del prezzo di mercato (€ 12.000/me);
F) l’aver prelevato, in data 22.05.2006, l’importo di €34.500,00 sul conto della della Banca Popolare di Bari per “rimborso spese alla(omissis) per finanziamento soci fatt. n. 13 e 20 del 31.03 e 28.04.2006 emesse dalla ditta IF(omissis)in realtà pagando il debito della con propri assegni personali post datati;
G) l’aver venduto, in data 14.12.2006, un appartamento in(omissis)ufficialmente al prezzo di € 175.000,00 oltre IVA, in realtà incassando in totale € 215.000,00 come riportato nel contratto preliminare di vendita e, trattenendo per sé € 64.000,00 avuti in contanti e mai versati nelle casse della come si evince dalla ricevuta dallo stesso incassata di € 63.000,00 oltre ai mille euro avuti in contanti come riportato nell’atto;
H) l’aver venduto, in data 12.06.2007, un appartamento in(omissis)dichiarando la somma di € 118.609,97 anziché € 210.000,00, come concordato, ed intascando personalmente la differenza di € 91.390,03 senza mai dichiararla come utile;
I) l’aver venduto, in data 16.02.07, un appartamento alla c/da che era stato promesso in vendita per € 100.000 oltre IVA, al prezzo dichiarato di € 67.600 iva compresa incassando per sé la differenza di € 35.000 oltre agli € 8.000 di lavori di migliorie richieste dal cliente;
L) l’aver ricevuto dal(omissis)la somma complessiva di € 143.250,00 che avrebbe dovuto essere regolarizzata con la ripartizione degli utili avuti dalle due operazioni immobiliari in corso, senza che ciò sia mai avvenuto;
M) l’aver venduto, dichiarando un prezzo inferiore al corrispettivo percepito, gli immobili di cui agli atti ed ai compromessi allegati ai nn. 50,51,52,53,54,55,56,57,59,60,61,62,63,64,65,67, incamerandone la differenza;
N) l’aver venduto, in data 30.07.2007, al socio(omissis) il negozio sito in alla contrada distinto in Catasto al foglio (omissis), disattendendo le pattuizioni della scrittura tra i soci del 16.05.2007, ad un valore inferiore rispetto a quello di mercato;
O) l’aver venduto, in data 24.07.2007, venduto un negozio in(omissis)alla c/da(omissis)distinto in Catasto al foglio (omissis), promesso in vendita ad € 95.000,00 per il prezzo di € 40.000,00.
Ciò posto, dopo aver premesso che gli amministratori(omissis)e avrebbero, al pari di(omissis)amministrato senza mai rendere conto del proprio operato e senza mettere a disposizione i documenti contabili societari, ha loro contestato le seguenti condotte:
- all’amministratore P)(omissis)di aver venduto, in data 4.8.2008, al socio(omissis)(omissis)(omissis)un appartamento in alla via del(omissis)distinto in catasto al foglio (omissis), ad un prezzo (€ 120.000,00, oltre IVA), inferiore rispetto al valore di mercato (€ 212.000,00);
Q) di aver venduto, in data 4.8.2008, alla società(omissis)(omissis) S.r.l., l’unità immobiliare ad uso negozio, distinta in catasto al foglio n. (omissis), ad un prezzo (€ 244.753,71, oltre IVA), inferiore rispetto al valore di mercato (€ 450.000,00);
R) di aver venduto al prezzo di € 55.000,00 alcuni immobili acquistati dalla S.r.l. in data 10.11.2005 al prezzo di € 75.000,00.
S) di aver venduto, in data 14.4.2011, l’immobile sito nel complesso Le (omissis), distinto in catasto al foglio n. 10, part. 1384, sub. 78, ad un prezzo (€ 731.088,70), inferiore rispetto al valore di mercato (€ 1.400.000,00);
T) di aver venduto, in data 29.06.2001, il lastrico solare di mq. 1805 del fabbricato in contrada part. 1384, sub. 41, al prezzo di € 40.000,00.
4.3. Così riassunte le contestazioni di parte attrice, si osserva quanto segue.
4.3.1. Ritiene preliminarmente il Collegio che, in applicazione dei principi sopra richiamati, non possono trovare accoglimento tutte le contestazioni in relazione alle quali non viene prospettato –nemmeno in punto di ipotesi- uno specifico danno conseguente gli atti di mala gestio asseritamente posti in essere dai convenuti.
Come già evidenziato, infatti, nell’ambito delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, non è sufficiente lamentare la violazione, da parte dell’amministratore, delle norme di legge o di Statuto o la non corretta ed oculata gestione della società (quand’anche tali condotte possano avere rilevanza in sede penale), ma è altresì indispensabile dedurre e dimostrare la diminuzione del patrimonio della società ed il nesso causale tra la predetta e le suddette condotte (Trib. Roma n. 20640/2016).
E così, il comportamento dedotto al punto A) (mancata redazione della contabilità analitica specificata nella scrittura privata tra i soci del 16.05.2007) –quand’anche dimostrato- non appare idoneo, neanche potenzialmente, a cagionare un danno al patrimonio sociale. E, del resto, con riferimento ad esso, lo stesso atto di citazione risulta assolutamente carente in ordine alla allegazione del danno patito dal patrimonio sociale, non deducendo nulla al riguardo.
Analoghe considerazioni in ordine all’insussistenza di danno debbono poi svolgersi con riferimento alle ulteriori contestazioni mosse congiuntamente a tutti i convenuti e relative all’aver amministrato senza mai rendere conto del proprio operato e senza mettere a disposizione i documenti contabili societari.
Anche in questo caso manca, infatti, l’allegazione del danno asseritamente arrecato al patrimonio sociale.
Allo stesso modo, l’attore al punto L) lamenta che, nel periodo di amministrazione di il socio(omissis)avrebbe ricevuto dall’amministratore la somma complessiva di €143.250,00, somma che avrebbe dovuto essere regolarizzata con la ripartizione degli utili, senza però che detta ripartizione sia mai avvenuta. Orbene, a prescindere dalla genericità dell’allegazione, e in disparte ogni considerazione sul fatto che non appare, alla luce delle contestazioni e della documentazione versata in atti, né certa la dazione della somma da parte dell’amministratore(omissis)in favore dell’attore, né certo il titolo in base al quale le somme sono state corrisposte, pare dirimente osservare che, non avendo parte attrice lamentato la natura indebita della dazione (essendo peraltro il destinatario delle somme medesime), ma essendosi limitato a censurare l’omessa regolarizzazione della dazione con la ripartizione degli utili, la contestazione non può trovare accoglimento dal momento che non è stato allegato alcun danno al patrimonio sociale.
4.3.2.(omissis)Venendo ora ad analizzare l’addebito relativo alle condotte distrattive di cui ai punti B), C), D), E), F), G), H), I), M), giova preliminarmente ricordare che, come noto, la distrazione consiste in una condotta di tipo commissivo volta ad utilizzare beni del patrimonio sociale per finalità diverse da quelle inerenti la realizzazione dell’oggetto sociale o comunque al fine di avvantaggiare soggetti diversi dalla società.
Ebbene, con particolare riferimento alle condotte distrattive di cui ai punti B) ed F), si osserva che, a fronte degli specifici addebiti contestati da parte attrice, l’amministratore convenuto - gravato del relativo onere probatorio - non ha evidentemente spiegato le ragioni degli ammanchi di cassa e non ha saputo fornire indicazioni in merito alla destinazione del denaro della società per scopi sociali, con la conseguenza che, deve ritenersi che le somme per le quali è causa siano state distratte in favore dell’amministratore.
Ed invero, parte attrice ha in primo luogo contestato al convenuto(omissis)di aver prelevato dalle casse della(omissis)ingenti somme giustificate con fatture emesse dall’impresa per lavori mai eseguiti dalla ditta. Ha assunto, quindi, che l’amministratore avrebbe distratto i corrispondenti importi.
L’amministratore convenuto ha contestato totalmente l’addebito sostenendo che le fatture in questione si riferiscono a lavori realmente eseguiti dalla ditta(omissis)in favore della S.r.l. su commissione della stessa ed ha prodotto il contratto relativo ai suddetti lavori del 05/07/2004, intercorso tra la(omissis)S.r.l. e la ditta(omissis)e la relativa integrazione sottoscritta in data 10/02/2005, inerente ai lavori eseguiti dalla predetta ditta in(omissis)(cfr. doc. n. 1 allegato alla memoria istruttoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c.).
Orbene, ritiene il Collegio che la suddetta produzione documentale non sia sufficiente a provare l’effettivo impiego della somma prelevata dal sig.(omissis)per il pagamento dei sopraccitati lavori.
Ed invero, nessuna prova dell’effettiva esecuzione dei lavori è emersa dall’istruttoria svolta nel corso del giudizio dalla quale, al contrario, si evince che sono state altre le ditte ad eseguire i lavori in questione e, in particolare, la ditta EDIL 2001 di(omissis)Mario; la ditta(omissis)di (v. dichiarazioni rese dal teste all’udienza del 27.5.2022).
Anche il teste di parte convenuta,(omissis)(omissis)(omissis) Gerardo, - interrogato sulla circostanza se la ditta(omissis)avesse eseguito, su incarico della S.r.l., lavori edili presso i cantieri di titolarità della medesima, siti in c.da del Comune di(omissis)(CS), ove è ora alloccato il centro commerciale “Le (omissis)”, e in via G. del(omissis)(omissis)del Comune di(omissis)(omissis)-, ha riferito di non saper rispondere sulla circostanza precisando che “io all’epoca dei fatti ero socio in una ditta edile, con la quale ci siamo occupati della pavimentazione e dei massetti di sottofondo per una parte della prima ala dell’immobile di(omissis)Qualche altra opera è stata eseguita da altre ditte, ma non saprei dire quali. Noi abbiamo fatto circa il 95% dei lavori per la suddetta parte di ala” (v. verbale di udienza del 27.5.2022).
Né, del resto, parte convenuta ha fornito prova alcuna della destinazione del denaro al pagamento delle suddette fatture ovvero alle necessità della società.
Deve pertanto ritenersi che il suddetto importo, pari ad € 441.000,00, sia stato indebitamente distratto alla società.
Al punto F) l’attore ha contestato all’amministratore(omissis)di aver effettuato, in data 22.5.2006, un prelevamento di €34.500,00 sul conto della della Banca Popolare di Bari per “rimborso spese alla(omissis) per finanziamento soci fatt. n. 13 e 20 del 31.03 e 28.04.2006” emesse dalla ditta IF(omissis)Tuttavia, secondo la prospettazione attorea, il pagamento alla ditta If sarebbe avvenuto, anziché con il denaro prelavato, con tre assegni post datati, di cui uno di € 10.000 e uno di € 12.000,00 a lui girati dalla ditta(omissis)con scadenza, rispettivamente, il 31.5.2006 e il 30.6.2006, e uno dell’importo di € 12.000,00 a lui girato dalla ditta (omissis) del (omissis) S.a.s., datato 31.5.2006.
Inoltre, l’attore ha affermato che in data 30.5.2006, avrebbe sostituito i suddetti tre assegni con un unico importo dell’importo di € 34.500,00 emesso dalla S.r.l., così trattenendo la somma di € 34.500,00 prelevata dalla casse della in data 22.5.2006.
A fronte della specifica e dettagliata contestazione e della produzione degli assegni e degli estratti conto bancari, nessuna credibile spiegazione è stata fornita dal convenuto(omissis)il quale si è limitato ad affer(omissis) che l’assegno di € 34.500,00 sarebbe stato versato nelle casse della S.r.l. ed utilizzato per il pagamento di spese inerenti alla gestione sociale.
Tale assunto, tuttavia, è rimasto sfornito di prova dal momento che il teste di parte convenuta, Valtriani Andrea, chiamato a rispondere sulla circostanza se “vero che le somme di euro 34.500,00 (trentaquattromilacinquento/00) prelevata dal conto della(omissis)S.r.l. in data 22/05/2006 e quella percepita nel mese di giugno del medesimo anno, relativamente alla vendita Giacinti, sono state versate nelle casse sociali, in particolare sul conto della Banca Popolare di Bari, come evincibile dagli estratti conto costituenti allegato 4 della presente memoria che vengono esibiti e comunque impiegate per pagare fornitori, operai e tecnici commissionati dalla S.r.l.”, ha dichiarato di non saper dire nulla al riguardo (cfr. verbale di udienza del 9.4.2021). Né, tantomeno, dalla documentazione prodotta da parte convenuta può desumersi la destinazione della suddetta somma alle esigenze della società.
In realtà, dalla documentazione in atti non risulta se tale importo sia stato utilizzato per scopi sociali e non si comprende per quale motivo l’amministratore li abbia prelevati. Del resto, tenuto conto della ripartizione dell’onere della prova nella presente sede e della pacifica effettuazione del prelievo, gravava sull’amministratore convenuto l’onere di dedurre e puntualmente dimostrare di aver correttamente adempiuto al proprio incarico e, di conseguenza, di aver utilizzato la somma prelevata per attività sociali.
4.3.3.(omissis)Le ulteriori voci di spesa contestate non paiono invece da ritenersi distratte. La documentazione allegata da parte convenuta e le prove orali richieste dalla sua difesa ha invero consentito di ricondurre l’impiego delle somme contestate alle attività gestorie della società amministrata.
Invero, l’attore ha contestato all’amministratore convenuto di aver emesso, in data 09.02.2006 tre assegni circolari di € 10.000,00 ciascuno intestati alla(omissis)S.r.l. e di aver prelevato € 10.000,00 in contanti per un totale di € 40.000,00, giustificando tali prelievi con l’emissione, da parte della ditta (omissis), delle fatture nn. 46 e 47 dell’importo di € 20.000,00 più IVA ciascuna, per l’esecuzione di lavori nei cantieri della(omissis)(omissis)S.r.l.. Più in particolare l’attore, senza negare la reale esecuzione dei suddetti lavori, ha tuttavia evidenziato che, sebbene si tratti di lavori effettivamente eseguiti, le suddette somme sono state in realtà utilizzate dagli amministratori(omissis)e(omissis)per scopi personali.
In disparte la contraddittorietà intrinseca della contestazione, ritiene il Collegio che la doglianza dell’attore non abbia trovato adeguato riscontro nel corso del giudizio. Invero, è la stessa parte attrice ad allegare la reale esecuzione dei lavori da parte della ditta (omissis) importi pagati.
L’attore, infatti, non allega trattarsi di operazioni inesistenti, ma si limita a dedurre genericamente la necessità di verificare il periodo in cui i suddetti lavori sarebbero stati eseguiti e la destinazione delle somme per scopi personali dei soci.
Tale deduzione non convince: la non contestata esecuzione dei lavori da parte della ditta (omissis) comprova la destinazione delle somme a scopi sociali e non può essere idonea a dimostrare la mala gestio degli amministratori, non avendo parte attrice offerto alcun elemento, ancorché di carattere presuntivo, volto a dimostrare il carattere sospetto dell’operazione.
L’attore ha poi allegato che(omissis)avrebbe disposto un bonifico di € 48.542,00 dal conto della società in favore del socio(omissis)(omissis) S.r.l. (di cui è egli stesso l’amministratore), giustificandolo con l’emissione della fattura n. 4 del 20.09.2006 per lavori in realtà eseguiti dalla ditta (omissis) L.S S.r.l.. A sostegno di quanto allegato, l’attore ha prodotto le fatture relative ai suddetti lavori emesse dalla ditta (omissis) L.S., nonché copia degli assegni attestanti l’avvenuto pagamento delle somme portate dalle suddette fatture.
Per converso, l’amministratore convenuto ha dedotto che i suddetti lavori sono stati eseguiti dalla ditta L.S., in parte su diretta committenza della(omissis)S.r.l. e in parte su committenza della(omissis) S.r.l., avendo entrambe le ditte ricevuto incarico dalla S.r.l..
La suddetta circostanza non è stata smentita da parte attrice e ha trovato altresì conferma nelle dichiarazioni rese dal teste Valtriani Andrea che, all’udienza del 27.5.2022, ha affermato che “la ditta L.S. ha fornito materiali ed eseguito lavori edili su incarico della S.r.l., per il cantiere di(omissis)(cfr. verbale di udienza del 27.5.2022).
4.3.4.(omissis)Ai punti G), H), I) ed M), come sopra descritti, l’attore lamenta che l’amministratore avrebbe venduto una serie di immobili dichiarando nel contratto definitivo di vendita un prezzo inferiore rispetto a quello pattuito nel contratto preliminare di vendita ed effettivamente percepito, così “intascando” la differenza.
Le suddette contestazioni, tuttavia, non colgono nel segno.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, “Qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo” (Cassazione, Sez. II, n. 20541 del 30.08.2017).
E pertanto, in mancanza di prova sull’esistenza di un accordo diverso sul prezzo effettivo di vendita, alcun rilievo giuridico può essere attribuito al prezzo indicato nel preliminare di vendita.
Di conseguenza, non vi è prova che il convenuto abbia percepito somme ulteriori rispetto al prezzo pattuito nel contratto definitivo di compravendita dei suddetti immobili.
Alcun rilievo probatorio, infatti, può essere riconosciuto al documento denominato “situazione al 25.11.2006” (doc. n. 42 fascicolo di parte attrice) atteso che si tratta di un appunto manoscritto recante una serie di cifre e di nomi confusi, privo di sottoscrizione.
4.3.5. Ciò posto, un discorso a parte meritano le contestazioni di cui ai punti E) e N) che si ritiene, per facilità espositiva, di poter analizzare unitamente alle contestazioni mosse ai convenuti(omissis)(omissis)e(omissis)ai punti P), Q), R), S) e T).
Ed invero, prima di entrare nel merito delle singole contestazioni, giova premettere in punto diritto che, come ha già avuto modo di affer(omissis) questo Tribunale in altre pronunce (v. ex multis Trib. Catanzaro n. 1553/2023), ferma l’applicazione della business judgement rule, la quale si risolve in ciò, che le scelte gestionali compiute dagli amministratori sono in sé stesse insindacabili, salvo non si tratti di operazioni che, se valutate ex ante, si rivelino manifestamente avventate ed imprudenti (Cass. 31 agosto 2016, n. 17441), la responsabilità dell’amministratore non può essere semplicemente desunta dai risultati della gestione e, perciò, al giudice investito dell’azione di responsabilità non è consentito sindacare i criteri di opportunità e di convenienza seguiti dall’amministratore nell’espletamento dei suoi compiti.
Ne deriva che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, “la scelta tra il compiere o meno un certo atto di gestione, oppure di compierlo in un certo modo o in determinate circostanze, non è mai di per se sola (salvo che non denoti addirittura la deliberata intenzione dell’amministratore di nuocere all’interesse della società) suscettibile di essere apprezzata in termini di responsabilità giuridica, per l’impossibilità stessa di operare una simile valutazione con un metro che non sia quello dell’opportunità e perciò di sconfinare nel campo della discrezionalità imprenditoriale; mentre, viceversa, è solo l’eventuale omissione, da parte dell’amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere che può configurare la violazione dell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazione e può quindi generare una responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società.
In breve: il giudizio sulla diligenza non può mai investire le scelte di gestione degli amministratori, ma tutt’al più il modo in cui esse sono state compiute. Non senza aggiungere che, ovviamente, un tale giudizio - in ordine al grado di diligenza che la cura di un determinato affare avrebbe normalmente richiesto, in rapporto a quello in concreto impiegato dall’amministratore convenuto in giudizio dalla società - costituisce una tipica valutazione di merito, come tale non sindacabile in cassazione se non per eventuali vizi di motivazione.” (Cass. 28 aprile 1997, n. 3652).
Ora, alla stregua di quanto sopra evidenziato, osserva il Collegio che le scelte gestorie sopra delineate appaiono insindacabili nel merito, trattandosi di soluzioni che, ex ante, non appaiono irragionevoli.
In assenza di ulteriori elementi a supporto, tali scelte non configurano, infatti, un’ipotesi di mala gestio fonte di responsabilità, trattandosi di negozi finalizzati a far percepire una redditualità alla società, anche alla luce di quanto si evince dalle stesse delibere assembleari allegate in atti in cui si evidenzia l’esigenza di tutelare il patrimonio della società e dei fideiussori (v. verbale di assemblea del 31.10.2007).
Nel caso di specie è avvenuto infatti che i soci, nel verbale di assemblea del 31.10.2007 hanno dato atto della necessità della liquidità occorrente alla società per far fronte alla situazione debitoria esistente autorizzando la vendita tutti gli immobili in rimanenza di proprietà della S.r.l., indicato all’amministratore il margine di discrezionalità entro cui determinare i prezzi – prezzo non inferiore alla quota di mutuo gravante sui propri beni - assumendosi in tal modo una “responsabilità” per il risultato finale di gestione nella conduzione delle vendite dei beni sociali.
In ogni caso parte attrice non ha dato prova di quale fosse il reale valore di mercato dei beni immobili di cui si discute, anche in considerazione delle offerte reali del mercato allora esistenti e delle reali caratteristiche dei beni.
In particolare, dall’istruttoria espletata nel corso del giudizio è emerso, con riferimento al negozio sito in(omissis)alla Contrada(omissis)distinto in Catasto al foglio 10 part.1384 sub 82 di cui al punto N), che il cambio di destinazione d’uso dello stesso avvenne solo in un momento successivo alla vendita.
Ed invero(omissis)(omissis)(omissis)interrogato all’udienza del 9.4.2021, ha così dichiarato“Confermo il contenuto della scrittura privata del 16.5.2007 (all. n. 43 fasc. parte attrice) che mi viene posta in visione. Non posso dire con esattezza il valore dei suddetti immobili nel 2007, ma sicuramente il valore di mercato non poteva essere € 150.000,00 anche perché all’epoca in cui fu assegnato questo locale al(omissis)fui io a chiedere il cambio di destinazione d’uso che avvenne in un momento successivo (2008) e, quindi, sicuramente non poteva avere il valore indicato nella circostanza. La variazione di destinazione d’uso fa cambiare il valore in aumento” (cfr. verbale di udienza del 9.4.2021).
Ancora,(omissis)(omissis)(omissis)ha smentito che il valore di mercato dell’appartamento sito in(omissis)alla via del(omissis)(omissis)distinto in Catasto al foglio 16, part. 131, sub 500, potesse essere di € 210.000,00, così come ha negato che il negozio di mq.260, di superficie catastale mq. 291, con annessa corte esclusiva, distinto in Catasto potessero avere un valore di mercato pari a quello indicato dall’attore (cfr. verbale di udienza del 9.4.2021).
E pertanto ritiene il Collegio che, in mancanza di prova che il prezzo pattuito per la vendita dei suddetti immobili fosse fuori mercato, alla data dei singoli atti di compravendita, e in considerazione di tutti i fattori evidenziati nel corso dell’assemblea del 31.10.2007 - che possono in parte anche giustificare una vendita a prezzi minori andata a favore di alcuni soci -, non sembra possa sostenersi che le suddette vendite, nel caso concreto, abbia causato un danno sociale, proprio perché nell’ambito della ristretta cerchia di soci era stata valutata ex ante la convenienza dell’atto di dismissione dei beni.
Né l’attore ha dedotto che all’epoca vi fossero state offerte migliori non valutate dall’amministratore, avendo prospettato solo una vendita ad un prezzo inferiore a quello di mercato.
Proprio perché la condotta dell’amministratore non appare, ex ante, né irragionevole né avventata alla luce delle circostanze del caso essa non risulta neanche produttiva di danno per la società che non può affermarsi abbia perso il proprio capitale sociale a causa di detta operazione. Analoghe considerazioni si pongono con riferimento alla contestazione attinente al pagamento, in favore della ditta edili L.S. S.r.l., della fattura relativa ad unriempimento con misto di fondazione inferiore a 200 mc di cui al punto sub E.).
Anche in tal caso, infatti, non vi è prova che ciò sia avvenuto ad un prezzo fuori mercato e, quindi, che la scelta fosse irragionevole.
4.4.(omissis)Priva di pregio deve poi ritenersi l’allegazione attorea secondo cui il convenuto abbia svolto costantemente il ruolo di amministrazione di fatto. La tesi di parte attrice, invero, non è suffragata da alcuna prova, né da allegazioni circostanziate idonee a dimostrare che il convenuto avesse preso parte ad attività gestorie durante l’intero periodo di amministrazione della(omissis)S.r.l. da parte dei convenuti(omissis)(omissis)(omissis)e (omissis) e contribuito in modo significativo alle scelte assunte dalla società.
Tale assunto è rimasto pertanto relegato al rango di mera allegazione, non essendo supportato da alcun conforto probatorio.
5.(omissis)Infine, rileva il Collegio come, in assenza di ulteriori specifiche contestazioni mosse alle società convenute,(omissis) S.r.l. e (omissis) S.r.l., la domanda di risarcimento del danno proposta nei loro riguardi debba essere integralmente rigettata.
6.(omissis)In definitiva, il danno derivante dalle suddette condotte di mala gestio è, dunque, pari ad € 475.500,00 – ossia quello relativo alle condotte distrattive poste in essere dall’amministratore come sopra individuato (pari alla somma di € 441.000,00 ed € 34.500,00 quali importi illegittimamente prelevati dalle casse della (omissis).
Il danno così determinato, trattandosi di debito di valore, deve essere maggiorato degli interessi legali sulle somme anno per anno rivalutate secondo gli indici ISTAT, a far data dall’evento lesivo – che può individuarsi nella data della cessazione della carica dell’amministratore(omissis)(31.10.2007), in cui può ritenersi consolidato l’effetto distrattivo - e fino alla presente pronunzia. Da questa, poi, per l’effetto della conversione del debito di valore in debito di valuta determinato dalla pronunzia giudiziale, decorrono ulteriori interessi legali fino al soddisfo.
In conclusione, il convenuto(omissis)va condannato a pagare alla(omissis)S.r.l. l’importo di euro 769.825,66, di cui euro 475.500,00 per sorte, euro 132.180,16 per interessi legali ed euro 162.145,50 per rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali decorrenti dalla presente pronunzia fino all’effettivo pagamento.
7.(omissis)L’attore ha chiesto, infine, la declaratoria di nullità o annullabilità e, quindi, la revoca di una serie di atti di compravendita –analiticamente individuati – asseritamente lesivi del patrimonio sociale.
Sul punto la(omissis)S.r.l., costituitasi in giudizio in persona del curatore speciale, ha affermato di “aderire – facendole proprie – alle domande, eccezioni e conclusioni formulate dal socio sig.(omissis)ovviamente con la precisazione che le richieste di revocatoria, in relazione alla compravendita di alcuni immobili di proprietà della società, è da intendere limitata al risarcimento del relativo danno, non apparendo esperibile una siffatta azione da parte del socio, anche nella sua veste di sostituto processuale, non avendo anche la società legittimazione alcuna in tal senso”.
Ciò posto, pare opportuno prima di esaminare il merito della domanda proposta premettere che per il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria, l’art. 2901 c.c. pone alcune condizioni, sia soggettive che oggettive, riassumibili nella esistenza del credito, nella realizzazione da parte del debitore di un atto di disposizione che alteri in peius la sua situazione patrimoniale, nel conseguente pericolo di danno per il creditore (eventus damni), nella consapevolezza, quale semplice conoscenza o agevole conoscibilità, da parte debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni), ovvero, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, nella dolosa preordinazione dell’.atto stesso al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito (consilium fraudis).
Appare evidente, dunque, come il primo presupposto per l’esercizio dell’azione revocatoria sia la sussistenza del credito.
Nel caso in esame l’attore non prospetta neanche l’esistenza di una posizione creditoria nei confronti degli odierni convenuti.
Ed invero, l’attore agisce in questa sede, come già evidenziato, in qualità di sostituto processuale, ai sensi dell’all’art.81 c.p.c., proponendo un’azione sociale di responsabilità. Tutto quanto precede esclude l’esistenza di un diritto di credito dell’attore nei confronti dei convenuti, giacché, al limite, potrà vantarne uno a titolo di mero rimborso nei confronti della società.
Pertanto, pur dovendosi ritenere che la tutela revocatoria compete altresì al titolare di un credito anche semplicemente ipotetico, tuttavia, occorre osservare che, nel caso in esame, anche in caso di accoglimento dell’zione sociale di responsabilità, non deriverebbe alcun diritto risarcitorio in capo all’odierno attore.
Conseguentemente, poiché l’esistenza del credito rappresenta elemento costitutivo della fattispecie revocatoria, la domanda deve essere rigettata.
Né, tantomeno, come correttamente sostenuto dalla(omissis)S.r.l., in persona del curatore speciale, tale legittimazione potrebbe essere riconosciuta in qualità di sostituto processuale della società, non avendo quest’ultima legittimazione alcuna ad esperire l’azione revocatoria degli atti di compravendita posti in essere dagli amministratori in nome della S.r.l.. Legittimazione che, come detto, spetta unicamente al titolare di un diritto di credito ai sensi dell’art 2901 c.c..
8.(omissis)Alla luce dell’esito complessivo della lite che ha visto accolta la domanda di parte attrice solo in minima parte e in ragione della complessità delle questioni giuridiche oggetto di causa, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite.
P.Q.M.
il Tribunale di Catanzaro, Sezione Specializzata Imprese, in composizione collegiale, definitivamente pronunziando nella causa civile di primo grado, indicata in epigrafe, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
I) in parziale accoglimento della domanda attorea condanna(omissis)a pagare alla S.r.l., in persona del curatore speciale, a titolo di risarcimento del danno, la somma di € 769.825,66, oltre agli interessi legali dall’odierna pronunzia al soddisfo;
II) compensa integralmente tra le parti le spese di lite.