Svolgimento del processo
1. La M. s.r.l. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano, con cui le era stato ingiunto il pagamento della somma di € 31.775,66 in favore dell’ing. A. L. a titolo di compenso per l’attività di progettazione e di direzione dei lavori relativa a due immobili siti in Milano di proprietà della società attrice.
1.2. Si è costituita la M. s.r.l. per resistere alla domanda e, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna di A. L. a titolo di risarcimento dei danni per mala gestio, nella sua veste di amministratore della società.
1.3. Il Tribunale ha rigettato l’opposizione.
1.4. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 17.8.2018, ha confermato la decisione di primo grado.
1.5. Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello ha fondato la decisione sugli atti di conferimento di incarico a L. da parte dell’amministratrice M. D. , moglie di LO., sulle quietanze di pagamento e sugli atti ricognitivi del debito, ritenendo generico il disconoscimento da parte della società perché non investiva l’autenticità della firma. La Corte di merito ha osservato che l’incarico era stato conferito su carta intestata alla società, recante il timbro della M. s.r.l., che riportava le date in cui M. D. era amministratrice della società, a nulla rilevando che il debito non fosse iscritto in bilancio; inoltre, L. aveva dato prova di aver eseguito le prestazioni attraverso la denuncia di inizio attività e la relazione dasseveramento.
1.6. La Corte distrettuale ha rigettato l’eccezione di prescrizione proposta dalla M. s.r.l., sul rilievo che se ne era verificata l’interruzione per effetto del riconoscimento del debito, ed ha ritenuto che la situazione relativa all’esistenza di un conflitto di interesse era riM.a priva di prova.
1.7. Infondata era la domanda di accertamento della responsabilità dell’amministratore L. per non aver messo a frutto gli immobili della società, domanda riM.a sfornita di prova, né era ammissibile la nomina di un CTU, che avrebbe avuto un carattere meramente esplorativo.
2. La M. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello sulla base di undici motivi.
2.1. A. L. ha resistito con controricorso.
2.2. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
2.3. In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.4 c.p.c., per omessa pronuncia o omessa motivazione sul primo motivo di appello, con il quale aveva censurato la violazione della regola dell’onere della prova, citando il principio affermato dalle Sezioni Unite con sentenza del 3.5.2015 n. 11377; la società ricorrente sostiene che, rivestendo la deduzione di inefficacia del contratto sottoscritto dal falsus procurator una mera difesa e non un’eccezione in senso stretto, spetterebbe al terzo che ha contrattato con il soggetto falsamente rappresentato dimostrare la sussistenza del potere rappresentativo. Nel caso di specie, la M.
s.r.l. avrebbe provato che M. D. non era amministratrice della società al momento del conferimento dell’incarico a LO., come si evincerebbe dall’assenza di specifici crediti nei suoi confronti riportati nelle scritture contabili e nel bilancio, nonché dalle modalità di scambio della documentazione, avvenuta a mani e priva di data.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., perché, a fronte dell’eccezione relativa all’assenza del potere rappresentativo di M. D. , l’onere di provare il potere rappresentativo della medesima graverebbe su LO., trattandosi di un elemento costitutivo della sua pretesa creditoria.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la Corte d’appello valorizzato fatti noti privi di rilievo indiziario omettendo di considerare fatti noti caratterizzati da gravità, precisione e concordanza; in subordine, la sentenza sarebbe affetta dal vizio di omesso esame di un fatto decisivo rilevante, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. e per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Priva di rilevanza, secondo la Corte d’appello, sarebbe la presenza del timbro e della carta intestata della M. s.r.l. per risalire alla prova dell’esistenza del potere rappresentativo di M. L. , in quanto chiunque avrebbe potuto appropriarsi di timbri e targhe della società. Inoltre, sarebbe decisiva la circostanza che i crediti di L. non erano riportati nelle scritture contabili e che i documenti non avessero data certa, rendendo apparente la motivazione della sentenza impugnata.
4. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt.2377, 2730, e 2735 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., perché la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere provato il credito di A. LO., seppure nelle scritture contabili della società e nei bilanci d’esercizio “non vi fosse traccia dei debiti oggi vantati”.
5. I motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati, seppure sulla base di una diversa motivazione.
5.1. La Corte di merito ha posto a carico di A. L. l’onere di provare che l’incarico era stato conferito dall’amministratrice della società, nella persona del coniuge M. D. all’epoca in cui la predetta rivestiva tale incarico; ha, pertanto, attribuito rilevanza alla documentazione attestante il conferimento dell’incarico al coniuge, avente valore ricognitivo del debito, rilevando che era generico il disconoscimento delle scrittura da parte della M. s.r.l.
5.2. Il riparto dell’onere probatorio è errato ma, essendo il dispositivo conforme al diritto, va disposta la correzione della motivazione, ai sensi dell’art.384, ult. comma c.p.c.
5.3. Come affermato da questa Corte, il rappresentato non diviene terzo rispetto al contratto stipulato a suo nome e per suo conto solo perché ne eccepisca la conclusione dopo la revoca della procura, e non può avvalersi, quindi, dell'art. 2704 c.c. per riversare sulle altre parti l'onere di provare che il contratto si è perfezionato nella data indicata e prima della suddetta revoca o della perdita dei poteri rappresentativi; ne consegue che la società a nome della quale sia stata sottoscritta una scrittura che neghi l'opponibilità del documento nei suoi confronti, sostenendo che è stato redatto in data successiva a quella che figura apposta e quando il sottoscrittore era decaduto dalla carica di amministratore, è tenuta a fornire la prova della non veridicità della data apposta rimanendo, in difetto, vincolata dalla predetta indicazione (Cassazione civile sez. lav., 02/03/2016, n.4099; Cassazione civile sez. III, 11/05/2009, n.10742; Cassazione civile sez. III, 15/12/2000, n.15861).
5.4. In applicazione di tali principi, era onere della M. s.r.l. dimostrare che la manifestazione di volontà dell'amministratrice L. era avvenuta dopo la perdita del potere rappresentativo, mentre la sentenza impugnata ha posto tale onere a carico del terzo.
5.5. La decisione è, in ogni caso, corretta, in quanto la Corte d’appello è pervenuta allo stesso risultato, ritenendo sussistente il potere rappresentativo del legale rappresentante al momento del conferimento dell’incarico; a tali conclusioni è giunta sulla base della valutazione degli atti di conferimento di incarico a L. da parte del legale rappresentante della società su carta intestata alla società, recante il timbro della M. s.r.l. nelle date in cui M. D. era amministratrice della società.
5.6. Quanto alla circostanza che il debito nei confronti di L. non fosse iscritto in bilancio, va osservato che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore in ordine alle prestazioni ed ai rapporti che positivamente risultano dalle scritture (Cass. Civ-., Sez. I, 6.2.2009, n. 2995), mentre non sono in grado di provare l'intero insieme dei rapporti intercorsi con le altre parti, né di provare l’inesistenza di altre prestazioni (Cass. Civ., Sez. I, 23.10.2018, n. 26874; Cassazione civile sez. II, 12/07/2004, n.12825; Cass. Civ., Sez. I, 6.2.2009, n.2995).
Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato che le scritture con il quale era stato conferito l’incarico al professionista erano stato sottoscritte dal legale rappresentante della società nella vigenza del potere rappresentativo e che L. aveva dato prova di aver eseguito le prestazioni attraverso la denuncia di inizio attività e la relazione di asseveramento delle opere.
Si tratta di accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità e di motivazione che si sottrae sia al vizio di cui all’art.132, n. 4 c.p.c., sia alla censura di omesso esame di fatti decisivi del giudizio (sulle cui nozioni, cfr. Cass. Sez. Unite, n. 8053/2014); invero, le censure svolte manifestano una critica alla valutazione delle risultanze istruttorie, prerogativa quest’ultima del giudice di merito.
6. La ratio decidendi adottata dal collegio implica l’assorbimento del terzo motivo (limitatamente alla parte in cui si censura il ragionamento inferenziale circa la prova del potere rappresentativo del legale rappresentante della società); del quarto motivo (con cui si denunzia la decisione della Corte in ordine alla contestazione dei pagamenti parziali); del sesto motivo di ricorso (con cui è stata denunciata la violazione degli artt. 214 e 215 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4, nella parte in cui è stata ritenuta sussistente la titolarità attiva del rapporto in capo a L. sulla base di documenti disconosciuti); del settimo motivo di ricorso (con cui si contestano l’interruzione della prescrizione da parte di un soggetto che, all’epoca dei fatti non rivestirebbe il ruolo di amministratore della società e sarebbe in conflitto di interessi con il professionista cui era affidato l’incarico, stante il rapporto di coniugio).
7. Con l’ottavo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 1394 c.c. e 2475 ter c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere la Corte d’appello rilevato l’esistenza di un conflitto di interessi tra il legale rappresentante della M. s.r.l. ed il professionista, atteso il vincolo di coniugio tra i medesimi.
8. Con il nono motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 2476
c.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c, oltre all’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte d’appello rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla M. s.r.l. per pretesa mala gestio da parte del consigliere di amministrazione LO., il quale avrebbe omesso di mettere a frutto gli immobili della società e li avrebbe utilizzati a fini personali. La società avrebbe allegato e provato l’inadempimento dell’amministratore, mentre L. non avrebbe provato di essersi attivato per mettere a frutto l’immobile, né avrebbe dimostrato di trovarsi nell’impossibilità di farlo, secondo la ripartizione della prova in materia contrattuale. L’inerzia dell’amministratore avrebbe causato un danno alla società, che aveva come oggetto sociale la gestione indiretta degli immobili, che negli anni precedenti erano stati locati, producendo un ricavo per la società.
9. Con il decimo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 61 c.p.c. e 191 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c., per motivazione apparente e per la mancata ammissione della CTU, che aveva il solo scopo di corroborare la prova documentale sulla redditività degli immobili.
10. Con l’undicesimo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 183, comma 7, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., perché la Corte d’appello non avrebbe ammesso il capitolo di prova concernente l’uso che degli uffici di via Lamarmora faceva la coniuge di LO..
11. Il nono motivo è fondato, con assorbimento dei restanti.
11.1. Come è noto, all'amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere, e quindi, l'eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste l’adempimento dei suo doveri sociali previsti dall’art.2392 c.c. (Cass. 12.2.2013, n.3409; Cass.2.2.2015, n.1783; Cass. 22.6.2017, n.15470).
11.2. L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, il che comporta che la società ha l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro ( Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n.2975; Cass. 31.8.2016, n. 17441; Cass..11.11.2010, n. 22911).
11.3. Questa Corte ha affermato, sul tema dell’onere probatorio che, ove i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto e l'obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell'adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l'illecito è integrato dal compimento dell'atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso, l'onere della prova da parte della società non si esaurisce nella dimostrazione dell'atto compiuto dall'amministratore, ma investe una serie di elementi dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza. Il contenuto di siffatti obblighi di carattere generale può specificarsi solo con riferimento alle circostanze del caso concreto; pertanto, in relazione alla mancata osservanza, da parte dell'amministratore, dell'obbligo di diligenza, chi agisce in giudizio deve dare dimostrazione di una serie di indici dai quali è possibile inferire la violazione del predetto dovere, che è definito dall’art.2932
c.c. (Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, n.25056; Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, n.2975).
11.4. Recentemente, questa Corte ha affermato che, in tema di responsabilità dell'amministratore per i danni cagionati alla società amministrata, il principio della insindacabilità del merito delle scelte di gestione (cd. business judgement rule, non si applica in presenza di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà palese dell'iniziativa economica (Cassazione civile sez. I, 25/03/2024, n.8069).
11.5. A tali principi di diritto non si è uniformata la Corte di merito, che si è limitata ad affermare l’insindacabilità delle scelte gestionali dell’amministratore, senza verificare se il non essersi attivato per concedere in locazione gli immobili della società, utilizzandoli gratuitamente, costituisse violazione del dovere di diligenza.
11.6. La società attrice aveva allegato che L. era riM.o inerte e non aveva a messo a frutto gli immobili e che tale comportamento aveva arrecato un danno costituito dalla mancata percezione dei canoni di locazione, considerato che si trattava di una società immobiliare, il cui scopo sociale è la reddittività degli immobili.
11.7. A fronte di tale condotta inerte, era onere dell’amministratore dimostrare le ragioni di tale scelta gestionale, non essendo legittimo opporre una scelta arbitraria, che, appare prima facie, irrazionale ed implausibile rispetto all’oggetto sociale.
11.8. La Corte di merito ha errato non solo nella ripartizione dell’onere probatorio ma, altresì, nell’affermare l’assoluta insindacabilità delle scelte gestionali anche nell’ipotesi in cui siano contrarie a principi di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà. E’ stato omesso qualsiasi approfondimento in ordine all’utilizzo personale di tali immobili da parte dell’amministratore, al fine di stabilire se si trattasse di scelta gestionale prudente in considerazione dell’oggetto sociale della società.
11.9. Ne consegue l’accoglimento del ricorso, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione che applicherà il seguente principio di diritto:
“Qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano vietati dalla legge o dallo statuto, la condotta dell’amministratore è illegittima se omette di adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati; in tal caso l'attore ha l’onere di provare tutti gli elementi di fatto dai quali è possibile dedurre la violazione dell’obbligo di lealtà e di diligenza”.
Il giudice del rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità. Sono assorbiti i restanti motivi.
P.Q.M.
accoglie il nono motivo di ricorso, rigetta il primo, secondo, terzo e quinto motivo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.