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25 novembre 2022 Fuori dall'aula
Fuori dall’aula con l’avv. Alice Di Lallo
Oggi, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, pubblichiamo l'intervista che ci ha concesso l'avv. Alice Di Lallo, esperta di diritto di famiglia, delle persone, dei minori e di diritto dell'immigrazione e, da sempre, attenta e sensibile al fenomeno della violenza sulle donne.
di La Redazione
Alice Di Lallo
, Avvocato del Foro di Milano, presso lo studio legale Di Nella
1. Alice, partiamo da te. Ci dici, nello specifico, di cosa ti occupi?
Ho iniziato la pratica forense nello Studio Legale Di Nella dove, nell'ottobre 2014, sono diventata Avvocato del Foro di Milano e da sempre sono interessata alla protezione e al rispetto dei diritti umani e della libertà delle persone. In particolare sono molto attenta al fenomeno della violenza sulle donne, definita a livello internazionale come una delle forme di violazione dei diritti umani e fondamentali, sono volontaria e consulente legale della Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano e dal mese di novembre 2020 sono inserita nella lista, predisposta dal Consolato britannico, degli avvocati italiani che tutelano le donne vittime di violenza domestica.2. Raccontaci della Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano...
La Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano (CADMI) è il primo Centro Antiviolenza nato in Italia, nel 1986, all'interno dell'UDI (Unione Donne in Italia). Da allora rappresenta il punto di riferimento per le donne che subiscono violenza, sia essa fisica, psicologica, sessuale, economica o 3. Parliamo d violenza di genere e di Codice Rosso, quali sono le più importanti novità introdotte e come ha ulteriormente inciso la più recente Riforma Cartabia (2021)?
Partiamo dalle definizioni di violenza di genere e di violenza domestica.
La dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne del 1993 definisce la violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che provoca o possa provocare danni fisici, sessuali o psicologici alle donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che si verifichi nella vita pubblica o privata”.
La Convenzione di Istanbul, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per gli Stati contraenti, efficace in Italia dal 1 agosto 2014, definisce la violenza di genere come qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale.
La “violenza domestica”, nel nostro ordinamento, e` stata definita per la prima volta a livello di legge ordinaria nella c.d. legge sul femminicidio (art. 3 comma 1 del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119 ): “tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
La violenza contro le donne e la violenza domestica è considerata a livello internazionale come una delle violazioni dei diritti umani piu` diffuse al mondo, che riguardano in modo trasversale le donne di ogni estrazione sociale e culturale, indipendentemente dalla localizzazione geografica e dal contesto economico. Ogni ora nel mondo, almeno 5 donne vengono uccise da un familiare, riporta l'ONU in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
Dai dati recentemente forniti dal Ministero dell'Interno proprio in vista della ricorrenza del 25 novembre, dal 1 gennaio al 21 novembre 2022 sono stati registrati 273 omicidi, di cui 104 sono donne, di cui 99 uccise in ambito domestico, familiare e affettivo, delle quali 52 per mano di partner / ex partner. Solo nella settimana dal 14 al 21 novembre 2022 sono 7 le donne uccise, due delle quali da parte del partner o ex partner. Analizzando tali dati rispetto all'anno 2021 si assiste ad una diminuzione lieve dei numeri ma il fenomeno è esteso e trasversale riguardando ogni strato della società, proprio perché è una violenza contro le donne perché donne.
Il 9 agosto 2019, nel nostro ordinamento, e` entrata in vigore le legge 19 luglio 2019, n. 69 , recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, meglio nota come Codice Rosso , normativa che ha lo scopo principale di potenziare gli strumenti di contrasto alla violenza domestica e di genere e di accelerare l'iter giudiziario a tutela delle donne vittime di violenza. Anche la scelta di chiamare la normativa alla stregua dei codici di accesso al Pronto Soccorso fa comprendere la finalità e l'esigenza di trattare questi procedimenti penali con assoluta priorità rispetto agli altri, intervenendo d'urgenza tutela delle persone offese.
Dal punto di vista sostanziale, il Codice Rosso introduce nel codice penale quattro nuove fattispecie di reato: violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis c.p. , introdotto dall'art. 4 l.n. 69/2019 ); costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p. , introdotto ex art. 7 l.n. 69/2019 ); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (cd. revenge porn, art. 612-ter c.p. , art. 10 l.n. 69/2019 ); deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p. , art. 12 l.n. 69/2019 ); aumenta la pena e prevede nuove circostante aggravanti sui delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di stalking (art. 9 l.n. 69/2019 ).
Inoltre, in materia di violenza assistita, il minore che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato come la vittima.
Anche in punto di procedibilita`, le innovazioni sono importanti: con riferimento ai delitti previsti dagli articoli 609-bis e 609-ter c.p. , in ordine al reato di violenza sessuale , ferma la procedibilita` a querela della persona offesa (non rimettibile), il termine per presentarla e` elevato a dodici mesi per adeguare per quanto possibile i tempi della giustizia a quelli personali della donna che potrebbe avere necessità di maggior tempo per elaborare il trauma della violenza.
Dal punto di vista procedurale, nell'ottica di abbreviare i tempi della giustizia si assiste ad una precedenza per la trattazione dei procedimenti penali in materia di violenza domestica e di genere.
La notizia di reato deve essere comunicata “immediatamente anche in forma orale” ed entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato; vi è l'obbligo di assunzione di informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia, querela o istanza (a meno che non vi sia un pericolo); vi è l'obbligo di proseguire con il compimento, “senza ritardo”, da parte della polizia giudiziaria degli atti delegati dal Pubblico Ministero e la relativa trasmissione a quest'ultimo, da effettuare anch'essa “senza ritardo”.
Il Codice Rosso risulta anche attento al dialogo tra la giustizia civile e penale che, maggiormente, in caso di violenza domestica, deve essere favorito e garantito: introducendo l'art. 64-bis in base al quale, se sono in corso procedimenti civili di separazione dei coniugi o cause relative ai figli minori di eta` o relative alla responsabilità genitoriale, il giudice penale che procede per un delitto di violenza domestica o di genere deve trasmettere, senza ritardo, al giudice civile, copia di una serie di provvedimenti, ivi indicati.
A qualche anno di distanza dal Codice Rosso , la L. 134/2021 , meglio nota come Riforma Cartabia, con particolare riferimento al tema qui trattato, ha ulteriormente rafforzato la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere apportando modifiche al codice penale e al codice di procedura penale (modifiche previste dall'art. art. 2, commi da 11 a 13 che intervengono sull'art. 165 c.p. , sugli artt. 90, 347, 362, 370, 659 c.p.p. , sull'art. 64-bis disp. att. c.p.p.).
L'art. 2, commi 11-13, della riforma integra le disposizioni a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere introdotte dal c.d. Codice Rosso , estendendone, in particolare, l'applicazione alle vittime dei delitti ivi previsti in forma tentata (nella legge n. 69/2019 il riferimento era ai soli singoli delitti, senza specificazione se si trattasse degli stessi in forma tentata o consumata) e alle vittime del delitto di tentato omicidio: a) le comunicazioni relative ai provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, nonché dell'evasione dell'imputato, sono sempre effettuate alla persona offesa e al suo difensore, ove nominato; b) se a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato, il pubblico ministero che cura l'esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore; c) viene introdotta l'assunzione di informazioni del pubblico ministero dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa; d) la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal P.M., e quella di cui all'art. 659, comma 2 bis c.p.p. , che prevede che, se a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato, il P.M. che cura l'esecuzione debba darne immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore; e) in virtù di un raccordo tra giudice penale e civile invocato anche dalla Convenzione di Istanbul, secondo cui, ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all'esercizio della responsabilità genitoriale, copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione a determinati reati vada trasmessa senza ritardo al giudice civile procedente; f) viene subordinata la sospensione condizionale della pena alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati; g) si prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per quei reati avente ad oggetto la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, previsti dagli artt. 387-bis, 572 e 612-bis del codice penale.
4. La Convenzione di Istanbul si occupa, tra l’altro, di violenza istituzionale e di vittimizzazione secondaria. Forse ne parla troppo poco?
Il tema di contrasto alla violenza contro le donne, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per gli Stati firmatari è la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77 , nota come Convenzione di Istanbul, che si propone come principale quello di porre fine alla violenza contro le donne e alla violenza domestica e di salvaguardare il diritto umano fondamentale delle donne a vivere una vita libera dalla violenza, dettando specifiche disposizioni che gli Stati debbono rispettare e attuare.
La Convenzione è anche particolarmente attenta a tutelare le donne vittime di violenza dalla c.d. violenza istituzionale e vittimizzazione secondaria. All'articolo 18, infatti, si prevede che gli Stati firmatari si impegnano ad "evitare la vittimizzazione secondaria”: le parti contraenti devono adottare le misure necessarie, legislative o di altro tipo, per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza. Tale articolo, al comma 3, dispone che le Parti devono adottare misure che: «siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; siano basate su un approccio integrato che prenda in considerazione il rapporto tra vittime, autori, bambini e il loro piu` ampio contesto sociale; mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria; mirino ad accrescere l'autonomia e l'indipendenza economica delle donne vittime di violenze; consentano, se del caso, di disporre negli stessi locali di una serie di servizi di protezione e di supporto; soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili.».
La vittimizzazione secondaria espone le vittime di violenza ad una seconda aggressione, non quella diretta agita dal maltrattante, ma dalle Istituzioni o da altri soggetti con cui la donna viene in contatto dopo la violenza. Si pensi alla colpevolizzazione della vittima - responsabile della violenza subita per certi suoi comportamenti; al disconoscimento o alla minimizzazione delle violenze stesse, sminuite a “conflitto familiare”; allo scoraggiare le donne dal presentare denuncia ammonendole per le conseguenze, soprattutto in caso di figli minori.
Si è in presenza della violenza istituzionale quando la donna da vittima viene fatta sedere sulla sedia dell'imputato: le sue parole vengono pesate, analizzate al minimo dettaglio, viene messa in dubbio la sua credibilità, la logica del racconto, racconto che spesso è costretta a raccontare diverse volte e in diverse circostanze. La violenza istituzionale abita nelle aule dei tribunali, nei locali delle Forze dell'Ordine, negli uffici degli assistenti sociali.
Viene messa in discussione la credibilità della donna stessa che ha sporto denuncia; quando le vittime di violenza nei procedimenti penali subiscono domande ed interrogatori quasi fossero loro le imputate; quando le donne vittime di violenza, nelle aule dei tribunali ovvero nei luoghi istituzionali, diventano destinatarie di linguaggio colpevolizzante, moraleggiante che finisce per scoraggiare la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario.
Quanto sopra è evidente nei procedimenti per separazione, per l'affidamento dei figli, per la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando le stesse autorita` chiamate a reprimere il fenomeno della violenza, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazione della violenza. In caso di violenza domestica, la donna e madre passa sotto la lente di ingrandimento degli operatori per verificare se quella donna, vittima di violenza, è una buona madre, in grado non solo di proteggere i figli dal padre violento ma anche dal preservarne la relazione. Ecco che entra in gioco l'alienazione parentale che benché non abbia alcun fondamento scientifico è spesso utilizzata per non credere alla madre e per giustificare le denunce che la donna ha presentato verso il maltrattante.
Lo stesso articolo 31 della Convenzione di Istanbul prevede che «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione». In assenza dell'accertamento delle condotte violente o in caso di sottovalutazione del fenomeno, viene pertanto disposto l'affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, con conseguente condivisione delle scelte e regolamentazione del diritto di visita al padre violento, imponendo magari alla madre la presenza durante gli scambi dei figli.
Nel Rapporto Grevio sulla verifica della corretta applicazione della Convenzione di Istanbul, si legge “Il racconto della violenza nei processi è talvolta mitigato, talvolta la donna stessa è considerata corresponsabile della violenza: è ritenuta provocatrice di una reazione del maltrattante. Il sistema in atto piuttosto che offrire protezione alla vittima e ai suoi figli sembra ritorcersi contro le madri che cercano di proteggere i loro bambini».
Le associazioni della rete antiviolenza lo sanno bene. Capita molto spesso, infatti, che la donna presenti denuncia-querela ma, dopo qualche giorno, si presenti per rimetterla perché spaventata, minacciata, non adeguatamente supportata. La donna, in questo caso, non è credibile né creduta.
5. Tra i casi esemplari scaturiti dal fenomeno di vittimizzazione istituzionale della donna vi è il caso di cronaca dell’omicidio del piccolo Daniele, ne hai fatto tu un articolo per noi…
Diversi casi di cronaca ci riportano alla violenza agita contro le donne in modo indiretto: si pensi al piccolo Federico, ucciso dal padre violento durante un incontro in Spazio Neutro nei locali dei Servizi Sociali (caso giunto alla Corte di Strasburgo per la violazione da parte dell'Italia del diritto al rispetto della vita privata e familiare della madre e del bambino) e ancora, più di recente, al piccolo Daniele, ucciso dal padre, anche questa volta, durante l'esercizio del diritto di visita.
“È la madre che porta il figlio dal padre, un gesto del tutto incompatibile con qualsiasi allarme che un precedente atteggiamento del padre avrebbe potuto destare”.
Questo il commento del Gip, nell'ordinanza di convalida dell'arresto dell'uomo che l'1 gennaio scorso ha ucciso il figlio minore e ferito gravemente la moglie separata, quasi volto a giustificare l'autorizzazione agli incontri col figlio che il Tribunale penale aveva concesso su richiesta dello stesso padre che si trovava agli arresti domiciliari con l'accusa di tentato omicidio di un collega, e destinatario, in passato, di altre denunce per maltrattamento sporte dalla moglie stessa.
Nella stessa ordinanza di convalida dell'arresto, è chiara la finalità di tale omicidio: punire la moglie uccidendole il figlio, come del resto è stato confermato dallo stesso omicida. Il tutto “con una modalità tipica della violenza di genere e della rivendicazione del proprio ruolo preminente e padronale”.
Questo gravissimo fatto di cronaca ha colpito tutta l'opinione pubblica e ha sollevato critiche e polemiche: l'autorizzazione a quel padre a visite libere col figlio, nonostante la natura violenta dell'uomo e le passate denunce sporte dalla moglie; l'assenza di comunicazione tra le sezioni del Tribunale (è possibile che non si sapesse che quell'uomo violento con un collega era violento, in primo luogo, contro la moglie e, conseguentemente, contro il figlio, vittima di violenza assistita?); l'ordinanza di convalida d'arresto che contiene, da un lato, l'affermazione della violenza di genere e, dall'altro, la condanna della madre per avere lei stessa condotto il figlio dal suo assassino, madre e donna vittima ancora una volta della c.d. violenza istituzionale e secondaria.
In questo secondo caso, la violenza istituzionale è evidente: il colpevolizzare la madre di aver condotto il figlio dal padre assassino significa attribuire alla donna ancora una volta la responsabilità del gesto dell'uomo violento: è lei la responsabile di aver lasciato il figlio all'uomo pericoloso. È evidente, invece, che la donna, dopo aver più volte denunciato l'uomo e non esser stata sufficientemente creduta, ha adempiuto ad un provvedimento del giudice, provvedimento in netto contrasto con le disposizioni della Convenzione di Istanbul.
6. Prevenzione e sensibilizzazione sul tema: è possibile educare la società affinché questo fenomeno cessi? Cosa si può fare o cosa si sta già facendo?
La violenza di genere è una questione culturale che si fonda ancora sulla cultura del dominio dell'uomo sulla donna. La violenza che si consuma tra le mura domestiche è la più subdola e difficile da far emergere; i comportamenti raccontati o denunciati, se non ricompresi nel c.d. ciclo della violenza, vengono minimizzati e banalmente catalogati all'interno di quello che è un tollerabile conflitto familiare dentro cui, è stereotipo, è bene non intervenire.
Al contrario, soltanto comprendendo i caratteri tipici della violenza contro le donne si può pensare di combatterla e prevenirla. Conoscere le varie fasi della violenza che, puntualmente, in ogni storia ritroviamo e che ciclicamente nella stessa storia si presentano, è un passo importante per riconoscere la violenza e aiutare la donna nel faticoso percorso di uscita dalla violenza.
Il ciclo della violenza vede susseguirsi una prima fase nella quale si realizzano le condotte preliminari della violenza (i primi segnali d'allarme), una seconda fase in cui la violenza raggiunge il proprio apice, una successiva, la c.d. luna di miele, in cui l'uomo cessa ogni comportamento violento, attribuisce la responsabilità alla donna ovvero a circostanze esterne, promette di non reiterare le condotte aggressive, si mostra premuroso, attento, quasi a far indurre la donna a dubitare di aver subito violenza nei giorni immediatamente precedenti, per poi dopo qualche tempo di quiete (che ha una durata variabile), il ciclo ricomincia puntuale a riprendere il suo corso.
La prevenzione si fa con la conoscenza a partire dai più piccoli, prevedendo nelle scuole dei programmi scolastici sulla parità di genere e sul rispetto reciproco, con la sensibilizzazione dell'opinione pubblica affinché riconosca la violenza e la denunci e, non da ultimo, anche con la scelta delle parole da parte dei responsabili della comunicazione nel racconto della violenza. Proprio recentemente si è assistito ad un linguaggio volgare e prettamente sessista e violento utilizzato dai media per narrare l'omicidio delle tre donne a Roma, quasi ancora una volta a giustificare il gesto dell'uomo “provocato” dai comportamenti e dagli atteggiamenti delle vittime. Prostitute, non donne, che, alla fine, “se la sono cercata”.
Ti ringraziamo per la completezza e chiarezza delle tue risposte e per il tuo tempo, molto prezioso soprattutto adesso che sei diventata mamma per la seconda volta, motivo per cui ti facciamo i nostri migliori auguri.
A presto!
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