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6 marzo 2023 Fuori dall'aula
Fuori dall’aula con la Presidente del CNF Maria Masi
Durante il Congresso Giuridico Forense svoltosi tra il 2 e il 4 marzo 2023 a Roma, abbiamo incontrato la Presidente del Consiglio Nazionale Forense, l'avv. Maria Masi, che ci ha concesso parte del suo prezioso tempo rispondendo alle nostre domande sulle ultime novità in tema di giustizia.
di La Redazione
Presidente Maria Masi















                                                                              Maria Masi
, Avvocato e Presidente del Consiglio Nazionale Forense
1) Presidente, in primis la ringrazio per il suo prezioso tempo. Partiamo da alcuni dei temi già affrontati al Congresso dello scorso ottobre a Lecce e che vengono affrontatati anche in questi giorni durante il Congresso di Roma: le nuove tecnologie e l’esigenza di velocità del recupero di informazioni, nonché la necessità di chiarezza e maggior sicurezza sull’esito del processo sta portando alla “sperimentazione” della giustizia predittiva. Cosa ne pensa e quali sono i rischi in un sistema di civil law come il nostro?
Sulla predittività, in realtà, mi sono espressa in diverse occasioni e, da ultimo, anche in occasione proprio dell'intervento introduttivo alla sessione di ieri - 2 marzo 2023, durante il Congresso Giuridico Forense (n.d.r.) - quando abbiamo discusso dei nuovi diritti e del possibile “catalogo” proprio dei nuovi diritti e della necessità di assecondare l'esigenza di cambiamento che la società sollecita, di cui interprete è sicuramente l'avvocato e l'avvocatura. 
Spesso, in alcuni contesti e su alcuni temi, il legislatore è arrivato dopo e su impulso appunto di un cambiamento, di una domanda e di una giurisprudenza. Ho, quindi, posto una domanda, ovviamente retorica: se avessimo avuto questo vincolo della predittività, quanti e quali di questi diritti avrebbe visto la luce? Dico “retorica” perché la risposta è scontata: pochissime! Perché il rischio della predittività è quello di “chiudere”. Quindi sicuramente la connotazione del sistema, il problema legato a questa legislazione diciamo “ipernevrotica”, legislazione speciale, e quindi di leggi anche fatte male, per cui poi è necessaria l'interpretazione che risente inevitabilmente anche di contaminazioni provenienti dal mondo anglosassone, tuttavia va contestualizzato rispetto a quello che è il tessuto sociale e storico e, soprattutto, quello che spaventa in questo contesto è, come lei diceva, la sperimentazione. 
In sintesi, se la sperimentazione della predittività è funzionale ad inibire la domanda di giustizia - questo è il rischio fondato che l'avvocatura teme - l'opinione non può che essere negativa.
2) Nel frattempo la Riforma Cartabia è realtà e ci sono e saranno diversi cambiamenti, che ruolo ha avuto - se lo ha avuto - il CNF nella stesura di tale riforma?
Il ruolo del Consiglio Nazionale ovvero dell'avvocatura istituzionale e poi dell'avvocatura è stato comunque marginale rispetto a quelle che le esigenze di queste riforme, per come strutturate, probabilmente esigeva. Per altro la partecipazione fisica di contributo e di interlocuzione, che comunque c'è stato, è durata fino ad un certo momento, che è quello precedente alla discussione in ambito politico nella discussione della Camera e al Senato. 
Lì però, di fatto, quello che poi è stato il contenuto delle riforme definitivamente approvate è sensibilmente diverso rispetto a quelle licenziate dalle Commissioni a cui l'avvocatura aveva dato quel già marginale contributo. La sintesi della risposta, insomma, si deduce facilmente.
3) La Riforma Cartabia credo faccia da spartiacque, in qualche modo e nel bene e nel male, tra un modello “tradizionale” di gestione delle cause ed un modello “innovativo”: il rafforzamento degli strumenti informatici e delle modalità di svolgimento delle udienze da remoto, con l’estensione e il rafforzamento del processo civile telematico semplificherà molto la vita professionale, almeno questa è la speranza. Ma siamo pronti tecnologicamente a questo? Nel caso la risposta fosse no, rischiamo paradossalmente un allungamento dei tempi del processo o è una visione troppo catastrofica?
Negli strumenti informatici digitali si è investito molto sin dalla prima ora - anche questo ho avuto occasione di dirlo - anche in risorse personali per la formazione, perché c'è consapevolezza che lo strumento digitale sicuramente agevola. Insomma, rende tutto più semplice: lo studio, il deposito, la consultazione dei fascicoli. Meno, però, nelle attività che non siano quelle funzionali ai cosiddetti adempimenti, perché per tutto ciò che riguarda l'attività difensiva c'è qualche problema. Mi riferisco proprio all'udienza da remoto, questione che abbiamo più volte sottolineato. Forse, se dovessimo tradurlo in termini statistici il dato sarebbe talmente irrilevante da non meritare neanche la considerazione, perché sicuramente è stato, ed è, utilizzato al di sotto del potenziale, anche economico che ha.
Invece, la questione delle modalità diverse dell'udienza di cui moltissimo si è discusso ieri e si continua a discutere nelle sessioni (del Congresso dei giorni scorsi, n.d.r.) è la modalità cartolare, che è stata utilizzata in fase emergenziale e che oggi non ha ragione di essere, se non in alcune fasi particolari del processo, perché l'utilizzo per alcune tipologie di processi e per alcune attività diventa limitativo e sicuramente anche riduttivo. Si inserisce in un contesto non valutabile positivamente, perché chiaramente altera anche l'approccio e anche le modalità delle libertà, perché non è che puoi stabilire e sintetizzare in poche righe quella che è l'attività difensiva. 
C'è poi un altro aspetto, che mentre l'avvocatura si è attrezzata da tempo in termini di formazione, non c'è stato altrettanto tempismo da parte di chi doveva adottare questi strumenti. L'ufficio del Giudice di Pace, ad esempio, forse avrà la disponibilità delle dotazioni necessarie entro la fine di quest'anno ma, in realtà, la riforma è già in atto.
Altri esempi riguardano la riforma del Tribunale delle persone della famiglia e, quindi, il Tribunale dei minorenni, ma parliamo forse della fine del 2025. 
A ciò si aggiunge anche un'altra perplessità: che senso ha adeguare strutture che poi logisticamente saranno comunque non riutilizzabili nell'ottica della riforma così come è attuata?
4) E poi c'è tutto un mondo che gira intorno alla "semplice" - mi passi il termine – udienza, penso al mondo della mediazione, per esempio, o a tutti gli operatori del diritto che fanno principalmente attività stragiudiziale. Cosa si sta facendo per agevolare il lavoro di queste categorie? Il Consiglio Nazionale cosa può - se può - fare per loro?
Giustizia complementare, perché questo è il termine giusto. Già definirla giustizia alternativa, in termini di comunicazione, rende il messaggio sbagliato perché pone una condizione di scelta, ma in realtà non è così perché non è, appunto, una alternativa. In realtà è una possibilità diversa di concepire la giustizia e la necessità di risolvere delle problematiche, si tratta di giustizia complementare. 
Il Consiglio Nazionale ha aderito, anche in questo caso, da subito al famoso manifesto della giustizia complementare e devo dire che poi lo ha tradotto anche nei fatti, cercando di semplificare in termini di formazione; lo facciamo da tempo in relazione sia alla mediazione, alla negoziazione assistita e da anni a quella che viene attivata adesso, la cosiddetta mediata. In più, adesso, c'è quella penale per quanto riguarda la giustizia riparativa, che è uno dei pochi aspetti che abbiamo in qualche modo apprezzato anche della riforma Cartabia per la materia penale. 
Anche qui è importante il profilo della comunicazione, che è quello che poi declina l'atteggiamento dell'avvocatura un po' resistente, non allo strumento, perché non si può dire che non ci sia consapevolezza da parte dell'avvocatura rispetto a questo strumento.
Questo messaggio, giusto o sbagliato, non è compatibile con quelle che sono le esigenze che l'avvocatura intende rappresentare.
5) Ci sono problemi strutturali, come il personale amministrativo, la carenza di organico negli uffici giudiziari a partire dal numero dei magistrati, la geografia giudiziaria che viene spesso rivisitata, con un impatto anche sull’organizzazione del lavoro degli avvocati, sarebbe troppo chiederle come poter risolvere tutte queste criticità, ma secondo lei qual è la strada da intraprendere almeno per migliorare la situazione?
Il problema di natura strutturale - quindi il problema delle risorse - è il vero grande problema della giustizia che sembra non sia mai stato colto, almeno sotto gli aspetti essenziali. La riforma, o meglio il PNRR, oggi per la prima volta, a differenza del passato, dà la possibilità anche di poter fruire di risorse economiche per la giustizia, sicuramente molto ridotte rispetto a quelle che sarebbero le esigenze effettive proprio in termini di numero, però è comunque un passo avanti. 
Bisognerebbe cominciare però dall'edilizia giudiziaria, perché è un problema gravissimo e serissimo dato che le strutture sono assolutamente inadeguate, poi c'è il problema del sottodimensionamento del personale anche sotto il profilo dei cancellieri, però devo dire che, a differenza di qualche anno fa, finalmente il percorso con la scuola e con diversi concorsi attivati in parte si sta stanno un po' “coprendo”.
È una realtà che anche molti colleghi e molte colleghe hanno deciso, in un momento particolare della loro vita, di intraprendere. Questo va bene se è stata una libera scelta, va meno bene se è stato condizionato dalla difficoltà di poter continuare nella professione forense. Questo sarebbe comunque un fallimento per chi rappresenta l'avvocatura.
Per le risorse legate invece a chi è chiamato a giudicare siamo ancora molto ma molto lontani in termini di quantità e, devo dire, sotto alcuni profili anche in termini di qualità, perché la specializzazione, da sempre avvertita e sentita dall'avvocatura, per la magistratura, seppur comincia ad esserci, siamo ancora un po' lontani.
6) Infine, mi permetto di fare l’osservazione che hanno fatto in molti: lei è la prima presidente donna del CNF e questa, anche se non dovrebbe essere una cosa che fa notizia, è la vera innovazione. Tuttavia si parla spesso delle differenze tra uomo e donna nel mondo del lavoro e credo che queste siano presenti anche nel mondo dell’avvocatura. Oltre ad una questione di cultura da scardinare in qualche modo, cosa si auspica che succeda per far sì che queste differenze diventino un lontano ricordo?
Già nella domanda lei pone una questione di cultura da scardinare, condivido e quindi per il semplice fatto che si tratta di una questione di cultura ho il sospetto che il percorso sia ancora molto lungo a giudicare anche dai tentativi o, comunque, da atteggiamenti cosiddetti regressivi, anche da parte del genere femminile. C'è anche un po' di diffidenza rispetto al linguaggio, rispetto a determinate declinazioni, ma questo ci sta perché è nella dinamica della libertà di espressione.
L'altra questione invece è quella di favorire la parità di genere, perché questa è anche la sintesi di quelle che sono le politiche di genere, cioè potremmo dire di essere a buon punto quando queste politiche di genere si riveleranno veramente efficaci. E si riveleranno veramente efficaci quando non ci sarà - e sarà un lontano ricordo - il problema della conciliazione di tempi, quando sarà un lontano ricordo la differenza che è endemica sotto il profilo reddituale e quando sarà anche un lontano ricordo una discriminazione che si percepisce anche in atteggiamenti che sono quelli quotidiani che possono apparire banali. In tutte le professioni della società esistono ancora. Quando non si ridurrà la questione delle politiche di genere alla “mera” questione delle quote rosa, non perché io personalmente non le condivida, ma perché anche io, come altri, ritengo che bisogna dimostrare valore e competenza e non semplicemente il numero. Tuttavia credo anche che non siamo ancora in grado, i tempi non sono ancora maturi per farne a meno.
Presidente, la ringraziamo molto per la sua disponibilità e per aver risposto in maniera chiara e completa alle nostre domande. A presto!
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